Myanmar, cresce la rivolta armata: esercito accusato di aver torturato i civili

Sono passati più di sette mesi dal golpe del 1° febbraio, ma gli scontri armati nel paese non si sono fermati. Gli scontri si sono intensificati dopo il video-appello lanciato su Facebook del presidente del National Unity Government

Myanmar, cresce la rivolta armata: esercito accusato di aver torturato i civili

Sono passati più di sette mesi dal golpe del 1° febbraio in Myanmar, ma gli scontri armati nel paese non si sono fermati, nonostante la brutale repressione dei militari. E siamo ormai alla guerra civile. Con l’esercito da una parte e il People’s Defense Forces (Pdf), i gruppi appoggiati dal governo ombra, il National Unity Government (Nug), dall’altra. Continuano a combattere anche le minoranze etniche, che proprio in seguito al colpo di stato hanno aumentato le loro azioni per conquistare l’autonomia.
Il video. Dallo scorso 7 settembre gli scontri si sono intensificati a causa di un appello ufficiale lanciato su Facebook dal presidente ad intermim del Nug, Lashi La, per lanciare una “rivolta armata popolare contro la giunta militare guidata dal generale Min Aung Hlaing”. Lashi si è anche rivolto al regime: agli amministratori ha chiesto di entrare a far parte della rivoluzione, ai soldati di “unirsi al popolo e attaccare il nemico”, mentre ai militari si è rivolto parlando di “crimini di guerra”. Un discorso duro, che rischia però di inimicarsi una parte della comunità internazionale.
Le conseguenze di questo video-messaggio si sono viste già a distanza di poche ore. Lo stesso giorno in cui è stato diffuso si è ripreso a combattere a Daw Poe Si, nello stato Karenni. E due giorni dopo una ventina di persone è morta durante gli scontri a Gangaw, nella regione di Magway. “Hanno sparato con l'artiglieria e hanno bruciato tutte le case nel nostro villaggio. Tra le vittime ci sono anche tre bambini e mio figlio di 17 anni”, ha dichiarato all’agenzia Reuters un abitante di 42 anni. E altri violenti combattimenti si sono registrati a Thantlang, nello stato Chin, vicino all’India, e a Yangon, capitale commerciale dell’ex Birmania. Oltre a combattere direttamente i militari, la resistenza ha messo fuori uso oltre 80 torri di telecomunicazioni di proprietà di Mytel , una compagnia nata con un accordo tra l’esercito e il ministero della Difesa del Vietnam.
Gli orrori denunciati in questa guerra sono terribili. Stando a quanto scritto dal quotidiano Irrawaddy, l’esercito avrebbe torturato e mutilato i civili in seguito ai combattimenti a Gangaw. Nel resoconto del 9 settembre si parla di genitali tagliati, di tagli su gambe, braccia e volti. Le vittime accertate della violenza dell’esercito, stando ai dati dell’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici, sono finora 1.100. Ma la realtà potrebbe essere molto peggiore, considerando le migliaia di persone di cui non si ha notizia da mesi.

L’articolo integrale di Fabio Polese, Myanmar: cresce la rivolta popolare contro il colpo di Stato, può essere letto su Osservatorio Diritti.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)