Nagorno Karabakh, giornalista e attivista azera racconta la guerra dei 44 giorni

Gunel Movlud, cresciuta in un campo profughi a causa della prima guerra nella regione, quella degli '90, spiega le ragioni della guerra scoppiata tra settembre e novembre 2020 tra Azerbaijan e Armenia e la scelta dell'impegno nella difesa dei diritti umani 

Nagorno Karabakh, giornalista e attivista azera racconta la guerra dei 44 giorni

Nata 40 anni fa in Nagorno Karabakh e cresciuta in un campo profughi a causa della prima guerra nella regione, oggi Gunel Movlud è giornalista, pacifista e difensore dei diritti umani azera. Un impegno che alla fine l’ha costretta a lasciare la sua terra. E che oggi l’aiuta a capire la guerra dei 44 giorni scoppiata tra settembre e novembre dello scorso anno tra Azerbaijan Armenia.
La lezione della storia. “La prima guerra del Nagorno Karabakh, quella degli anni '90, oltre ad aver provocato 30 mila morti ha visto più di un milione di persone perdere la propria casa e dover fuggire e rifugiarsi nei campi profughi. Se alla guerra fa seguito la propaganda dell'odio non ci sarà mai una fine alle sofferenze della gente”, dice la donna in un’intervista concessa a Osservatorio Diritti. “Quando poniamo l'uomo come valore più alto, al di là del fatto che sia originario di un Paese o di un altro, possiamo capire che il nemico costruito attraverso la propaganda e la retorica belligerante non esiste”.
Oltre gli annunci. Per Gunel Movlud, anche nel corso di una guerra non esiste il classico “nemico” che ci vogliono dipingere sempre nel peggiore dei modi. “Se andiamo oltre agli slogan e alle parole d'ordine – dice – ci rendiamo conto che il ''nemico'' concretamente non è un soldato armato fino ai denti ma è un vecchio nonno, oppure una donna molto tenera, o un bambino con bisogno di aiuto”.
Il post conflitto. La giornalista-attivista è convinta che “c'è tanta, tantissima somiglianza, tra le condizioni degli sfollati dopo le guerre. I profughi, di tutto il mondo, hanno dei denominatori comuni. In primis il fatto di essere vittime. E quando vedevo i video della gente armena che scappava mi ha assalito anche una profonda tristezza, perché se non ci sarà un cambio di rotta, quello che abbiamo visto e vissuto potrà ripetersi di nuovo ed è molto triste pensare che non si è stati capaci trovare una soluzione a questa crisi in tutti questi anni”.
La scelta di essere pacifisti a queste latitudini non è comune. “E lo è ancor meno dopo l'ultima guerra”, dice la donna. “La maggior parte della popolazione cresce educata a valori di nazionalismo e patriottismo e spesso collidono con una visione di riconciliazione e convivenza tra i due popoli. Essere pacifisti in Azerbaijan però è molto più difficile che in Armenia. In Azerbaijan chi ha una prospettiva e un'idea come la mia viene considerato spesso come un traditore”.

L’articolo integrale di Daniele Bellocchio, La guerra in Nagorno Karabakh negli occhi di una pacifista azera, può essere letto su Osservatorio Diritti.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)