Narcotraffico e omicidi in Messico. Presidente dei vescovi: “I sacerdoti abbiano coraggio di denunciare, ma abbiamo davanti poteri forti”

Il presidente dell’organismo ecclesiale e arcivescovo di Monterrey, mons. Rogelio Cabrera López, invita a “ricostruire il tessuto sociale ed ecclesiale”. Da qualche mese l’arcivescovo è stato confermato alla guida della Chiesa che conta il secondo numero di battezzati al mondo, ancora con un’alta percentuale di battezzati. Questo dato, però, convive con altri numeri drammatici, che fanno del Messico il Paese probabilmente più insicuro del mondo, soprattutto considerando che al suo interno non si vivono veri e propri conflitti

Narcotraffico e omicidi in Messico. Presidente dei vescovi: “I sacerdoti abbiano coraggio di denunciare, ma abbiamo davanti poteri forti”

Un immenso lavoro di base attende la Chiesa messicana, che nelle scorse settimane ha esortato le comunità cristiane e tutti gli uomini di buona volontà a intraprendere “un cammino di conversione per essere artigiani di pace”, attraverso un articolato messaggio diffuso dalla Conferenza episcopale (Cem). Parole che vengono riprese in questa intervista dal presidente dell’organismo ecclesiale, mons. Rogelio Cabrera López, arcivescovo di Monterrey, che invita a “ricostruire il tessuto sociale ed ecclesiale”. Da qualche mese l’arcivescovo è stato confermato alla guida della Chiesa che conta il secondo numero di battezzati al mondo, ancora con un’alta percentuale di battezzati. Questo dato, però, convive con altri numeri drammatici, che fanno del Messico il Paese probabilmente più insicuro del mondo, soprattutto considerando che al suo interno non si vivono veri e propri conflitti. In gran parte del territorio, a farla da padroni sono i cartelli del narcotraffico, che si scontrano tra loro e danno vita quotidianamente a carneficine sempre più barbare e plateali. Secondo i dati ufficiali diffusi qualche tempo fa dal Governo messicano, nel Paese sono stati registrati 33.308 omicidi intenzionali nel 2021: quasi cento al giorno, quasi quattro all’ora. Una cifra impressionante, anche se inferiore del 3,6% rispetto a quella del 2020, quando gli omicidi erano stati 34.554 omicidi registrati nel 2020. Il 2019 è stato l’anno record con 34.690 vittime di omicidi, il numero più alto dal 1997, anno in cui sono iniziate le registrazioni. Ma è evidente che si tratta di un arretramento poco probante. Negli ultimi due anni, infatti, la vita sociale in Messico è stata molto limitata dal Covid-19, che ha colpito duramente la popolazione. Inoltre, altri tipi di reato, dalla violenza sulle donne alle estorsioni, sono cresciuti. Sempre più spesso, inoltre, i massacri sono plateali. Per esempio, il giorno dell’Epifania i corpi orribilmente massacrati di dieci persone sono stati fatti trovare nella piazza principale di Zacatecas, capitale dell’omonimo Stato, di fronte al palazzo del Governo statale. Sempre più bestiali anche le modalità di reclutamento e iniziazione della “manovalanza” da parte dei gruppi armati. In questo scenario davvero arduo si colloca l’intervento della Chiesa. I vescovi rivolgono un’esortazione “a tutti gli uomini e donne di buona volontà, perché nelle distinte tappe e circostanze della vita non dimentichino che anche un minimo gesto a favore di una pace degna e duratura è importante e insostituibile. Vogliamo sommarci agli sforzi di tutti coro che sono costruttori di pace e ci impegniamo a camminare con loro”. Su questa sfida il Sir ha intervistato mons. Cabrera.

Eccellenza, quella della pace è in questo momento una priorità per la Chiesa messicana?
Sì, bisogna riconoscere che la pandemia ha messo in evidenza tre problemi: la qualità dei servizi sanitari, la crisi economica e occupazionale e, appunto, ha mostrato con ancora maggiore evidenza il clima di terrore e violenza. Il nostro è un appello a tutto il popolo. Tutti dobbiamo essere coscienti della gravità del momento. In particolare,

noi diciamo che le origini della violenza vanno cercate nel livello più piccolo, quello familiare. Ogni famiglia ha la responsabilità di rendere il suo ambiente cordiale e rispettoso. Ma poi questa responsabilità si allarga ai paesi, ai municipi.

Come Chiesa abbiamo il compito di convincere i fedeli a esercitare questa responsabilità e a vivere questa conversione. La vera sfida, oggi, è quella di ricostruire il tessuto sociale ed ecclesiale. Il messaggio che lanciamo è che ognuno deve assumersi la propria responsabilità, prima di incolpare altri.

La violenza, però, in Messico è oramai una questione strutturale e a livelli altissimi. Difficile pensare che possa essere affrontata soltanto a partire dal basso…
È vero, questa realtà va al di là anche del nostro stesso Paese, ha ramificazioni ovunque. Penso al narcotraffico, alla tratta di persone. Comportamenti che mirano a guadagni milionari, la violenza è frutto di un desiderio illimitato di denaro. A questo noi non possiamo far altro che contrapporre un artigianato di pace, che deve coinvolgere ogni persona e ogni gruppo sociale, in modo attivo…

E qui la Chiesa gioca un ruolo importante?
Certamente, su più livelli. Ho già accennato a quello dal basso, della ricostruzione del tessuto, a poco a poco, ma poi c’è la costruzione della pace a tutti i livelli, anche attraverso gli appelli a tutte le componenti della società, a tutti i poteri.

La Chiesa deve usare la sua voce per convincere le autorità a unire le forze per la pace.

La Chiesa paga un prezzo alto anche con i suoi sacerdoti, che in questi anni sono stati uccisi, o minacciati.
Sì, viviamo in un contesto nel quale qualsiasi parola e opinione può diventare causa per subire violenza. Ciò accade soprattutto in alcune zone di maggior conflitto. È importante, da parte dei sacerdoti, il coraggio di denunciare le situazioni di violenza e criminalità. Al tempo stesso, non possiamo non avvertire i nostri sacerdoti che hanno a che fare con poteri davvero molto forti.

Nel vostro messaggio sulla pace parlate anche del cammino sinodale che la Chiesa di tutto il mondo sta vivendo. A prima vista non sembra che il Sinodo abbia qualcosa a che fare con la costruzione della pace. Siete invece convinti del contrario?
Nel nostro Paese il cammino sinodale si intreccia con quello del nostro piano pastorale, che ha come traguardi il 2031 (cinquecentenario dell’apparizione della Vergine di Guadalupe) e il 2033 (bimillenario della redenzione). Ora stiamo vivendo la tappa di ascolto e pensiamo che si tratti di un passaggio importante nella costruzione di una cultura della pace. Prima parlavo della costruzione di un nuovo tessuto ecclesiale. Il tema della sinodalità non può non svilupparsi a partire dalla concreata esperienza nazionale.

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Fonte: Sir