Oltre 6 milioni spesi, cosa hanno fatto le ong nei centri in Libia?

Un rapporto di Asgi analizza il ruolo delle organizzazioni umanitarie italiane nei centri di detenzione libici. Mettendo in luce una serie di luci e ombre sull’intervento di aiuto, che anziché migliorare le condizioni dei migranti ne legittima la detenzione in condizioni disumane

Oltre 6 milioni spesi, cosa hanno fatto le ong nei centri in Libia?

Sono oltre 6 milioni di euro i soldi  stanziati dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS) per i progetti all’interno dei centri per migranti in Libia, dal 2017 a oggi. Ma come sono stati spesi? E cosa si fatto realmente per i diritti delle persone rinchiuse in queste strutture? A tracciare un bilancio a tre anni dall'emanazione dei primi bandi ( e del Memorandum Italia-Libia) è l’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi) in un report.

L’azione umanitaria in Libia è da tempo molto contestata proprio perché  il sistema di detenzione ( e non di “accoglienza”, come scritto nel Memorandum Italia-Libia) per migranti è caratterizzato da gravissimi e sistematici abusi. I centri libici, soprattutto quelli nei dintorni di Tripoli, destinatari della maggior parte degli interventi italiani, ospitano anche migranti intercettati in mare dalla Guardia Costiera Libica, a cui l’Italia ha fornito e tuttora fornisce un decisivo appoggio economico, politico e operativo. Non solo, ma molti sono sovraffollati, l’accesso al cibo è limitato e manca l’assistenza sanitaria minima anche per donne e bambini. 

La ricostruzione dei fondi stanziati dal 2017 a oggi 

I finanziamenti vengono istituiti la prima volta quattro anni fa, con la legge di bilancio del 2016, a valere per l’anno 2017. I fondi per interventi da parte di ong italiane all’interno di centri di detenzione in Libia ammontano complessivamente a 6 milioni di euro. Tale somma è stata appaltata attraverso tre diversi bandi. Le ong capofila dei progetti approvati sono: Emergenza Sorrisi, Helpcode, Cefa, Cesvi e Terre des Hommes Italia. Le altre ong coinvolte nell’attuazione dei progetti, come partner delle ong capofila, sono Fondation Suisse de Deminage, Gvc (già We World), Istituto di Cooperazione Universitaria, Consorzio Italiano Rifugiati (Cir) e Fondazione Albero della Vita. Per quanto riguarda i centri, il primo bando (AID11273) è interamente dedicato a tre centri nelle vicinanze di Tripoli, Tarek Al Sikka, Tarek Al Matar e Tajoura. Il secondo(AID11242) inizialmente individuava altri centri, poi chiusi e sostituiti con altri, tra i quali Tarek Al Sikka, Tarek Al Matar e Tajoura. Il terzo bando (AID 11242/2) si focalizza nuovamente su Tarek al Sikka, insieme a Sabratha e Zuwara. Secondo il rapporto: “nella valutazione dei bandi, così come per tutti gli interventi di tipo umanitario, occorre anzitutto verificare il rispetto del principio “do not harm”: occorre cioè interrogarsi se i bandi stessi, pur con l’intenzione condivisibile di apportare miglioramenti alle condizioni dei migranti detenuti nei centri libici, possano avere avuto un impatto a loro avverso, fornendo un sostegno al sistema detentivo stesso e perpetuando così l’esistenza di un sistema di centri di detenzione incompatibili con il rispetto dei diritti dei beneficiari stessi”. In assenza di condizioni per raggiungere l’obiettivo di migliorare la condizione dei migranti, dunque “invece di contribuire ad un rimedio duraturo e sostenibile nel tempo alle gravi violazioni di diritti fondamentali che si consumano in tali centri” quest’azione rischia di fornire un sostegno alle prassi di detenzione di migranti da parte del governo di Tripoli e all’esistenza di un sistema detentivo destinato comunque a versare in condizioni del tutto incompatibili con il rispetto dei diritti fondamentali. Carenza di cibo, sovraffollamento, mancanza di assistenza medica sono solo alcuni dei punti critici che descrivono la drammatica situazione nei centri. Per questo Asgi sottolinea che “le azioni previste dai bandi non possano incidere in maniera significativa e duratura sulle condizioni in cui sono detenuti i cittadini stranieri in Libia, condizioni che sono destinate a rimanere inumane ed in violazione degli obblighi internazionali sul rispetto dei più elementari diritti umani”. 

Se l’azione umanitaria rischia di legittimare il sistema di detenzione

Il rapporto di Asgi mette in discussione la logica stessa dell’intervento ideato dall’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, mostrando come le condizioni disumane nei centri, che nelle intenzioni dei bandi dovrebbero essere migliorate dall’azione delle ong, dipendano da precise scelte del governo di Tripoli. E così, politiche repressive, gestione  affidata a milizie, assenza di controlli sugli abusi, strutture fatiscenti, rendono l’azione umanitaria “molto poco efficace e non sostenibile nel tempo”.

Non solo, ma secondo il rapporto nei centri nei pressi di Tripoli le ong italiane attraverso un’attività strutturale si sostituiscono in parte alle responsabilità di gestione quotidiana dei centri che spetterebbe al governo libico. Inoltre, “alcuni interventi non sono a beneficio dei detenuti ma della struttura detentiva, preservandone la solidità strutturale e la sua capacità di ospitare, anche in futuro, nuovi prigionieri”. Infine , alcuni interventi sono volti a mantenere in efficienza infrastrutture anche costrittive, come cancelli e recinzioni, cosicché potrebbe profilarsi un contributo al “mantenimento di detenuti nella disponibilità di soggetti notoriamente coinvolti in gravissime violazioni di diritti fondamentali”.

Il rapporto si interroga anche sulla destinazione effettiva dei beni e dei servizi erogati. “L’assenza di personale italiano sul campo e il fatto che i centri siano in gran parte gestiti da milizie indubbiamente ostacolano un controllo effettivo sulla destinazione dei beni acquistati. Non può così escludersi che di almeno parte dei fondi abbiano beneficiato i gestori dei centri, ossia quelle stesse milizie che sono talora anche attori del conflitto armato sul territorio libico nonché autori delle già ricordate sevizie ai danni dei detenuti”. Asgi conclude  osservando che l’intervento italiano è direttamente funzionale alla strategia di contenimento dei flussi irregolari di migranti attraverso meccanismi per la loro intercettazione, trasferimento in Libia, detenzione e successiva rimozione dal territorio libico attraverso rimpatrio nel paese di origine o resettlement in Paesi terzi. E’ quello che gli studiosi chiamano “esternalizzazione della frontiera”, cioè pagare paesi terzi per controllare i flussi alle frontiere. “L’effetto dei bandi sia di fornire un contributo limitato e temporaneo al funzionamento dei centri di detenzione libici, con il fine ultimo di contribuire alla prevenzione degli ingressi irregolari sul territorio europeo, senza però tentare di eliminare alla radice ed in modo sostenibile le carenze strutturali che rendono la detenzione al loro interno irrimediabilmente inumana” sottolinea Asgi. Da un punto di vista politico - conclude il rapporto - gli interventi ideati dai bandi corrono l’evidente rischio di legittimare l’attuale sistema di detenzione di stranieri in Libia. Del resto gli interventi dell’Aics si collocano in linea di continuità con il quadro più articolato di interventi del governo italiano in Libia, tra cui il multiforme sostegno alla cosiddetta Guardia Costiera libica, che hanno come effetto di incrementare il numero di intercettazioni di migranti in mare, successivamente trasferiti nei centri di detenzione.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)