«Politica e società, tutti facciano di più»

Serve una riforma fiscale che tenga conto dei tempi delle famiglie.  Nel 2012 il governo Monti ha approvato il Piano nazionale per la famiglia che però è rimasto al metà del guado.

«Politica e società, tutti facciano di più»

Quello del sostegno alle famiglie è oggi un aspetto centrale per un Paese in cui lo sforzo politico su questo tema è stato storicamente debole, per quanto diffusa sia la consapevolezza che gli interventi di politica pubblica possono incidere – in positivo o in negativo – in maniera determinante nelle condizioni di vita e di benessere delle famiglie. Il 2017 con 464 mila nascite, in ulteriore calo del 2 per cento sul 2016, ha segnato un nuovo minimo storico e aggravato il saldo naturale negativo: dati che dimostrano quanto sarebbe necessario investire più risorse, perché le famiglie che desiderano avere figli e quante si prendono cura di anziani, persone fragili, ammalati, persone con disabilità, non ce la fanno più a reggere il peso da sole.

Per Donatella Bramanti, ordinario di sociologia della famiglia alla Cattolica, il discorso pubblico sulla famiglia si apre «quasi sempre per segnalare situazioni molto problematiche. Anche i film e le fiction mettono in scena le famiglie quasi sempre in termini conflittuali. Questo purtroppo è il brodo in cui siamo immersi, e che rende difficile riconoscere che la famiglia è presente e si fa carico di una quantità di compiti importanti».

La famiglia però sembra piacere sempre meno…

«Le giovani generazioni paiono disaffezionate alla famiglia e il matrimonio è in calo: non si punta più sulla famiglia, ma sull’amore di coppia che non comprende necessariamente un progetto familiare. E questa è prima di tutto una responsabilità di tipo culturale: non possiamo pensare di recuperare solo attraverso provvedimenti di tipo strumentale. C’è bisogno di una nuova trasmissione tra le generazioni che sappia riportare con coraggio un messaggio positivo per i giovani».

Di chi è la responsabilità di questa disaffezione?

«C’è una responsabilità di tutti se è venuto meno o è diminuito l'investimento sulla famiglia. Abbiamo una natalità bassa, e certo non basteranno da soli provvedimenti di tipo economico per far crescere il desiderio di avere figli ma è necessario riappropriarsi del valore e della bellezza dell'essere genitori e del fare famiglia. Invece gli adulti e i "tardo adulti" continuano a rinunciare a un mandato tra le generazioni non chiedendo nulla ai propri figli, perché si pensa che la realizzazione personale sia indipendente da queste responsabilità e da questi compiti che son visti solo come impegni pesanti. Il mandato tra le generazioni è invece importante e chiedere ai giovani di far figli non deve essere un tabù. Altro grande tema è quello della conciliazione tra famiglia e lavoro: qualcosa è stato fatto, ma non c’è omogeneità di esperienza e questo non crea una cultura circolante diffusa. Quasi sempre il lavoratore viene vissuto come un individuo solo, isolato, senza relazioni, ma non è così. Noi ci portiamo anche al lavoro le nostre dinamiche familiari».

Ricreare una cultura della famiglia quindi, ma in che modo?

«In Italia c’è stato un grande ritardo nel rendersi conto che la famiglia andava sostenuta.  Nel 2012 il governo Monti ha approvato il Piano nazionale per la famiglia, che però è rimasto al metà del guado. Non è stata fatta una riforma fiscale che tenesse conto delle responsabilità e dei carichi di cura della famiglia. Questo della cura è un tema che nessun governo vuole affrontare, è un tema che fa paura. È certo un problema di risorse, ma anche culturale: sosterrebbe le famiglie che oggi sono effettivamente impegnate nei compiti di cura e potrebbe consentire alle coppie di avere due o tre figli anziché uno. Certo non siamo all’anno zero, ma le politiche per i servizi sono su base regionale e comunale, mentre quello fiscale è un tema del governo centrale. Le azioni di sostegno non vanno frammentate ma devono diventare di sistema».

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