Pratiche infinite, così il dl Salvini ha reso più difficile ottenere la cittadinanza

Per effetto del primo decreto sicurezza i tempi di risposta della domande di cittadinanza sono passati da due a quattro anni. Ma l’attesa è anche maggiore. Le storie dei ragazzi del Movimento italiani senza cittadinanza finiti in un limbo burocratico: “E’ una vergogna, un’anomalia tutta italiana”

Pratiche infinite, così il dl Salvini ha reso più difficile ottenere la cittadinanza

Erandika Conthrath Arachchige è arrivata in Italia a sette mesi. La sua famiglia ha deciso di trasferirsi dallo Sri Lanka, poco dopo la sua nascita. Oggi ha 23 anni, vive a Milano, dove studia all’università, ma non è ancora cittadina italiana. “I miei genitori non hanno mai fatto richiesta, io mi sono mossa subito dopo aver compiuto 18 anni. A febbraio 2017 la mia domanda è stata accettata. Andavo continuamente sul portale dedicato e vedevo che la mia pratica stava andando avanti, in poco tempo sono passata dalla fase uno alla fase tre, con l’istrutturia completata - racconta -. Poi improvvisamente, l’iter è tornato indietro: il messaggio sul sito era uguale a quello che avevo visto due anni prima e diceva che si stavano facendo accertamenti”. A complicare il percorso verso la cittadinanza di Erandika e degli altri ragazzi cresciuti qui da genitori stranieri è intervenuto infatti il decreto Salvini. 

Il dl sicurezza n.113 del 4 ottobre 2018, oltre a rivedere le norme in materia di asilo e accoglienza, è intervenuto anche in tema di cittadinanza. Permettendo la revoca in caso di condanna in via definitiva per reati legati al terrorismo. E allungando i tempi, da due a quattro anni per la conclusione del procedimento, nelle richieste di cittadinanza per residenza o per matrimonio (non per i nati in Italia da genitori stranieri). “Ora devo pagare un avvocato perché riesca a sollecitare, tramite pec, la prefettura e mandare avanti la pratica, ma è assurdo - aggiunge la ragazza -. Io sono praticamente nata qui, non mi sento un’immigrata, lo Sri Lanka non è il mio paese, il mio paese è l’Italia. Torno nel paese dei miei genitori ogni due anni, è un posto bellissimo, ma io sono italiana. Anche se mi sento una straniera in patria, perché sono qui col permesso di soggiorno, perché non posso votare, né accedere ai concorsi pubblici. E non è giusto”. Anche i fratelli di Erandika, che hanno più di 30 anni sono in attesa di una risposta sull’istrutturia per diventare cittadini. “Abbiamo fatto tutto quello che ci è stato richiesto, anche se non è stato facile ottenere tutti i documenti dallo Sri Lanka- aggiunge -. Però ora basta, questa situazione deve cambiare, non possiamo aspettare così tanto, è anche una questione di identità”. 

Anche Chouaib Bel Mouden è arrivato qui da piccolissimo, a soli due anni, dal Marocco. Ora ne ha 26, e da tre anni e mezzo aspetta una risposta per la sua pratica di cittadinanza. “Il decreto Salvini è entrato in vigore nel 2018, a me scadeva il termine di risposta da parte dell'amministrazione a febbraio 2019. Ma con le nuove disposizioni di legge i tempi si sono dilatati da 24 a 48 mesi - spiega - Ora, se tutto va bene, potrò iniziare a sollecitare l’amministrazione a partire da febbraio 2021. Tradotto: significa che devo aspettare una vita.
Il problema c’è e c’era anche prima, perché le richieste sono tante e difficili da smaltire. Ma anziché semplificare l’iter burocratico hanno deciso di complicarlo, allungando apposta i tempi entro i quali l’amministrazione pubblica è chiamata a rispondere”. Chouaib, che a Treviso è responsabile di un ristorante, spiega anche come per lui, dopo tanti anni, sia importante essere riconosciuto italiano. “Ho sempre l’ansia di viaggiare con il permesso soggiorno, se vado all’estero e perdo il permesso è la fine - sottolinea - Ma poi anch’io sono praticamente nato qua e non posso fare quello che fanno miei coetanei: votare, iscrivermi a un albo professionale, fare un bando pubblico. Eppure questa è casa mia”.

Di casi come quelli di Erendikita e Chiuaib ce ne sono diversi. Anche la fumettista Takoua Ben Mohamed, ha denunciato sul  suo profilo Facebook che la sua istruttoria, da tre anni, è ferma alla fase due.
“Le fasi per la cittadinanza sono di una lentezza burocratica inaccettabile - afferma -. Sei condannata a un’eterna attesa per essere riconosciuta, tra un mese sono 21 anni esatti che sono in Italia e a settembre compio 29 anni. Fate due conti”. 

Il tempo di attesa così lungo è un’anomalia tutta italiana. Il Movimento Italiani senza Cittadinanza, che si batte per una riforma della legge 91/92, chiede tra le altre cose, anche l’abolizione dei decreti sicurezza che hanno ulteriormente complicato la situazione. “Noi non siamo arrivati qui per lavorare - spiega Jovana Kuzman, una delle attiviste del Movimento -. Siamo stati portati qui a 3 mesi, due o cinque anni, dai nostri genitori. 
E’ una vergogna che per il primo decreto sicurezza dobbiamo aspettare altri quattro anni per le sole pratiche. Il disbrigo burocratico dovrebbe durare al massimo un anno, come avviene in tutti gli altri paesi europei”. 

I ragazzi di seconda generazione chiedono inoltre che sia rivisto il criterio del reddito minimo per ottenere la cittadinanza per residenza (previsto dalla legge 91/92). “Come possiamo dimostrare un reddito di un certo tipo in un paese dove un buon reddito regolare è un miraggio per tutti i giovani - aggiunge Kuzman -. Vogliamo che chi vuole parlare di cittadinanza oggi prima ci ascolti, ci importa che un pezzo giovane delle nuove generazioni e futuro d’Italia, venga riconosciuto per legge e possa finalmente respirare”. 

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)