Quanto tempo ci vuole a ottenere la cittadinanza? Anche 8 anni

Lungaggini burocratiche, requisiti impossibili, discrezionalità. A questo si sono aggiunte anche le nuove disposizioni normative: “E’ il percorso amministrativo più lungo di tutti quelli previste dal nostro ordinamento”

Quanto tempo ci vuole a ottenere la cittadinanza? Anche 8 anni

Lungaggini burocratiche, requisiti impossibili, discrezionalità. Sono questi gli ostacoli principali per chi oggi vuole diventare cittadino italiano. Un tema che è tornato al centro del dibattito mediatico dopo l’inchiesta avviata dalla procura di Perugia sul test di italiano B1 del giocatore uruguaiano Luis Suarez per ottenere la cittadinanza italiana. Ma quanto ci vuole normalmente per completare la pratica? L’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi) attraverso i suoi legali che da anni seguono cause per la richiesta di cittadinanza, stima che i tempi di attesa medi possono essere anche di 8 anni. 

Cosa prevede la legge?

L’attuale legge sulla cittadinanza (la 91 del 1992) si basa sulla distinzione tra  ius sanguinis (diritto di discendenza) e ius soli (diritto del suo). Da anni si parla di riformare la normativa, ormai considerata oblsoleta e non rispondente ai cambiamenti avvenuti nella società. L’ultimo tentativo risale al 2015 quando fu approvata solo alla Camera una proposta di riforma che oltre a uno ius soli temperato introduceva il principio dello ius culturae. Ma il dl non passò mai per l’approvazione definitiva in Senato. Anziché migliorare, di recente, con la legge 132 del 2018 (che ha convertito in legge i decreti sicurezza voluti dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini) l’accesso alla cittadinanza italiana è stato reso ancor più difficile. La legge 132, infatti, ha raddoppiato i tempi di risposta, che passano da due a quattro anni, per chi chiede la cittadinanza per matrimonio o residenza. “È il procedimento amministrativo più lungo tra tutti quelli previsti nel nostro ordinamento giuridico. Si tratta, tra l’altro, di termini ordinatori e non perentori: con il precedente termine di due anni, di fatto l’iter durava in moltissimi casi anche quattro o cinque anni. Adesso, con il nuovo termine di quattro anni, la decisione potrebbe giungere anche dopo otto anni, lasciando così il richiedente nella totale indeterminatezza” spiega Francesco Di Pietro, avvocato di Asgi.

Un percorso a ostacoli fatto di attese infinite 

“Prima dell’intervento della nuova legge per le richieste per matrimonio esisteva il cosiddetto silenzio assenso: si tratta di un dititto soggettivo, quindi il rigetto doveva avvenire entro i due anni, dopodiché si acquisiva la cittadinanza. Ora questa norma non c’è più, il silenzio assenso è stato espressamente eliminato e anche le richieste per matrimonio possono durare quattro anni” spiega Di Pietro. Ma la situazione peggiore riguarda chi deve chiedere la cittadinanza per residenza: se la cittadinanza per matrimonio viene trattata dalle singole prefetture, le richieste per residenza vengono trattate dal ministero dell’Interno ed elaborato in maniera centrale. Un numero enorme di richieste, almeno 400mila quelle pendenti, che aspettano di essere evase. 

A questi ritardi strutturali si aggiunge l’estrema discrezionalità con cui  vengono decise le acquisizioni di cittadinanza. Basta un piccolo intoppo perché il processo si fermi. “Nell’esaminare la domanda, la questura consulta la banca dati del ministero: basta una segnalazione per avere un preavviso di rigetto e far allungare ancora di più i tempi - spiega ancora l’avvocato -. Un caso che ho seguito, per esempio, parlava di una denuncia a carico di un mio cliente: era una semplice denuncia per una lite condominiale. Una diverbio per un parcheggio, c’era stata una denuncia, poi archiviata ma nella banca dati della polizia risultava. Abbiamo spiegato l’equivoco, ma in ogni caso il processo di acquisizione della cittadinanza si è bloccato”. 

Un altro caso, spiega ancora Di Pietro, ha riguardato una sua assistita: la sua domanda di cittadinanza per matrimonio è stata respinta perché risultavano denunce per maltrattamenti in famiglia, minacce e lesione. La denuncia era in capo al coniuge. Ma la cosa assurda è che la donna era la vittima:  “praticamente lo Stato le ha risposto che non era degna di diventare italiana perché il marito maltrattava la famiglia, compresa lei. La donna se ne era andata via di casa insieme alla figlia. Aveva avuto un comportamento ineccepibile come madre: allontanandosi dal compagno e chiedendo la separazione, ma comunque la sua richiesta di cittadinanza ha avuto un rigetto. Nel diritto dell’immigrazione vediamo spesso prevalere questo aspetto patriarcale - aggiunge - anche per questioni di reddito: per inoltrare domanda di cittadinanza per matrimonio o residenza serve un reddito di almeno 8000 euro, la stragrande maggioranza si appoggia al reddito del marito. Ma ovviamente così si è dipendenti dal coniuge”.  

Il problema dei neomaggiorenni

Tali lungaggini incidono negativamente anche sulle poche norme di favore per le seconde generazioni. Infatti, al momento del giuramento da cittadino italiano diventano automaticamente cittadini anche i figli minori conviventi. Ma se, a causa dei ritardi della Pubblica amministrazione, i figli sono nel frattempo diventati maggiorenni in corso di procedimento, saranno costretti a presentare domanda autonomamente. Criticità si riscontrano anche per altra norma di interesse per le seconde generazioni: la possibilità di chiedere la cittadinanza italiana al compimento della maggior età per i nati in Italia. “È l’unica norma improntata, sia pur in modo limitato, sullo ius soli
Vi è stato modesto intervento legislativo (l’articolo 33 del decreto legge 69 del 2013) a sostegno dei neomaggiorenni nati in Italia: il Comune di loro residenza ha l’onere di informarli di tale facoltà - spiega Di Pietro -. Ma la criticità che essi incontrano nella maggior parte dei casi è l’assenza della continuità di iscrizione anagrafica sino al diciottesimo anno di età per ragioni connesse alla regolarità del soggiorno dei genitori”. 

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)