Rapporto Inps: cinque milioni e mezzo di pensionati sotto i mille euro al mese. Boeri, necessari più immigrati regolari
Nel 2017 i pensionati Inps sotto i mille euro al mese risultano 5 milioni e 548mila (il 35,9% del totale che è pari a 15 milioni e 477 mila) e sono in netta maggioranza donne (3 milioni e 686 mila, il 44% del totale). Sono invece quasi 1 milione e 114mila (il 7,2%) coloro che percepiscono più di 3mila euro al mese.
Sono i due poli che emergono dalle tabelle sul reddito pensionistico lordo del Rapporto annuale dell’Inps, presentato a Roma presso la Camera dei deputati. Il dato dei pensionati sotto i mille euro risulta comunque in calo rispetto a quello registrato nel Rapporto precedente (37,5%). Per Tito Boeri, “gli italiani sottostimano la quota di popolazione sopra i 65 anni e sovrastimano quella di immigrati e di persone con meno di 14 anni”
Non è necessario essere degli economisti per capire che se aumenta il numero dei pensionati e diminuisce il numero di coloro che versano i contributi (nonché gli importi di questi ultimi), il sistema previdenziale non potrà reggere a lungo. Semplificato al massimo, è questo il cuore dell’analisi del presidente dell’Inps, Tito Boeri, in occasione della presentazione del XVII Rapporto annuale dell’Istituto di previdenza. A fronte di questo dato così elementare pesa sull’opinione pubblica l’effetto di una “inconsapevolezza demografica” che purtroppo molta politica odierna (e non solo di oggi, per la verità) tende ad alimentare. Secondo Boeri, infatti, “gli italiani sottostimano la quota di popolazione sopra i 65 anni e sovrastimano quella di immigrati e di persone con meno di 14 anni”.
“Si tratta di vera e propria disinformazione”, ha aggiunto il presidente dell’Inps, spiegando che invece l’Italia “ha bisogno di aumentare l’immigrazione regolare” perché sono “tanti i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere”.
Nel lavoro manuale non qualificato ci sono il 36% dei lavoratori stranieri in Italia e l’8% degli italiani. Il Rapporto mette in evidenza come “anche innalzando l’età del ritiro” dal lavoro, “ipotizzando aumenti del tasso di attività delle donne” e calcolando “incrementi plausibili e non scontati della produttività”, per “mantenere il rapporto tra chi percepisce una pensione e chi lavora su livelli sostenibili è cruciale il numero di immigrati che lavoreranno nel nostro Paese”. Se si riducono i flussi d’immigrazione regolare, inoltre, finisce inevitabilmente per aumentare quella clandestina: la stima è che per un 10% di immigrati regolari in meno si determini un aumento di irregolari compreso tra il 3 e il 5%.
L’importanza decisiva della variabile demografica chiama direttamente in causa il tema dell’età pensionabile, tenendo conto che il superamento della riforma Fornero è uno dei punti-chiave del programma del governo. L’Inps stima che passare alla cosiddetta “quota 100” (la possibilità di andare in pensione quando la somma dell’età e degli anni di contributi è almeno pari a questa cifra) costerebbe fino a 20 miliardi di euro all’anno, poco meno (fino a 18 miliardi di euro) se venisse introdotto il requisito minimo dei 64 anni di età. La spesa scenderebbe a 16 miliardi di euro all’anno alzando il requisito anagrafico a 65 anni, mentre con 64 anni di età minima e il mantenimento delle regole attuali per quanto riguarda i requisiti di anzianità contributiva indipendenti dall’età, costerebbe fino a 8 miliardi di euro all’anno.
Ma le risorse finanziarie sono limitate ed è compito della politica decidere le priorità.
Secondo i calcoli dell’Inps, per esempio, servirebbero altri 6,2 miliardi, oltre a quelli già stanziati, per raggiungere con il Reddito d’inclusione (Rei) tutti i 5 milioni di poveri assoluti stimati nell’ultima rilevazione dell’Istat. Il Rei, partito all’inizio di quest’anno, a regime e senza ulteriori finanziamenti riuscirebbe a raggiungerne solo il 29%. E per stare sul tema specifico delle prestazioni previdenziali, il dato che spicca nel Rapporto è il numero dei pensionati sotto i mille euro (lordi) al mese: 5 milioni 548mila (il 35,9% del totale che è pari a 15 milioni e 477mila). Si tratta in grande maggioranza di donne (ben 3 milioni e 686 mila). Nel confronto con il Rapporto dello scorso anno va registrato un lieve calo (sotto i mille euro era il 37,5% dei pensionati), ma si tratta comunque di una cifra impressionante. Viceversa, sono 1 milione e 114mila (il 7,2%) coloro che percepiscono più di tremila euro (lordi) al mese.
L’Inps, per la sua funzione, è anche un osservatorio privilegiato sul mondo del lavoro.
Il Rapporto conferma ancora una volta la forte crescita dei contratti a termine.
I lavoratori dipendenti con rapporti di lavoro a tempo determinato e di apprendistato, tra il 2016 e il 2017, “sono aumentati significativamente, passando da 3,7 milioni a 4,6 milioni”, in crescita quindi di “quasi un milione” (+24%). Gli occupati a tempo indeterminato sono invece in calo, da 14,1 milioni a 13,8 milioni. “Un innesco importante all’espansione dei rapporti a termine – si legge nel Rapporto – è giunto dalla soppressione, a marzo 2017, della regolazione tramite voucher delle prestazioni di lavoro accessorio”.
L’Istituto di previdenza stima poi in “un intervallo da 589.040 a 753.248” il numero dei lavoratori coinvolti nella cosiddetta gig economy, quella dei lavori saltuari e a chiamata, che toccano soprattutto i giovani.
È la prima volta che si quantifica il fenomeno con questo livello di approssimazione. Con una sorpresa: i riders – in pratica i fattorini delle consegne a domicilio – rappresentano “una parte limitata della gig economy, pari a poco più del 10%”.