Ritrovare competitività. La rivoluzione tecnologica ed energetica rischia di mettere in ginocchio la vecchia Europa
Tra cinque anni, la metà delle auto elettriche vendute nel mondo sarà made in China perché quelle cinesi costeranno la metà delle europee
Un allarme, uno dei tanti lanciati da questo o quello, che risuonano nell’aria mediatica per qualche ora e poi sembrano evaporare. Ma non evapora il problema: il presidente di Federacciai (che raggruppa le industrie siderurgiche italiane) ha ricordato che la Germania ha stanziato un colossale piano di aiuti economici (fino a 13 miliardi di euro!) per sostenere i costi energetici delle sue industrie; la Francia oggi gode di un costo dell’elettricità che è un terzo di quella italiana. E noi, negli altiforni, si vorrebbe passare dal calore inquinante prodotto dal carbone (che però costa poco), ai forni elettrici. Ma l’elettricità in Italia è scarsa e cara.
Morale della favola: ci stiamo posizionando in una situazione in cui la bolletta elettrica di un’acciaieria italiana è mediamente più costosa dell’80% rispetto a quella dei nostri dirimpettai. Figurarsi rispetto all’acciaio indiano, cinese o brasiliano. E anche quello americano è più concorrenziale.
Così si finisce fuori mercato in un amen, così rischia il capolinea un fondamento dell’economia italiana, che già da tempo si è privata del settore chimico. Macchinari, prodotti per l’edilizia, componentistica meccanica, giù fino agli elettrodomestici e alle scatolette alimentari: sarebbe meglio acquistare barre d’acciaio e lamierini a pochi chilometri di distanza, che farseli venire dall’Estremo Oriente. Meglio mantenere stabilimenti produttivi qui, che vederli chiudere e rimanere in balia di fornitori esteri, di cui siamo quasi totalmente dipendenti in molti altri settori.
Purtroppo l’Italia è senza “agibilità” di bilancio (non abbiamo soldi per sostenere alcuno), al contrario della Germania; non ha l’elettricità a costo semi-zero del nucleare francese; non vuole inquinare senza limiti, come stanno facendo India e Cina. Però è meglio ragionarci e prendere decisioni importanti, prima di subire e basta queste situazioni che ci porterebbero in pochi anni a smantellare il manifatturiero italiano, il secondo in Europa – non siamo solo il Paese della pizza e mandolino, ma siamo tra i più grandi produttori di macchinari industriali del mondo.
La rivoluzione tecnologica ed energetica rischia di mettere in ginocchio la vecchia Europa, che sta puntando ormai solo su finanza e accoglienza turistica. La lentezza e la disunione con cui stiamo affrontando questi passaggi ci stanno emarginando dall’economia mondiale alla velocità della luce: tra cinque anni, la metà delle auto elettriche vendute nel mondo sarà made in China perché quelle cinesi costeranno la metà delle europee.
O ci si rassegna ad una decadenza che pensavamo certa, ma più lunga; o si reagisce. Se ne è accorta pure Ursula von der Leyen, che ha chiamato al capezzale del malato un bomber della politica economica mondiale qual è Mario Draghi: a lui il compito di indicare la strada della ritrovata competitività europea (e quindi italiana).