Sea Watch. “Piuttosto che tornare in Libia preferisco morire”

Parla uno dei migranti a bordo della nave ferma da sei giorni al confine delle acque territoriali: "Non avete idea di cosa ci succede in Libia, piuttosto che essere di nuovo torturato preferisco dare la mia vita ai pesci"

Sea Watch. “Piuttosto che tornare in Libia preferisco morire”

ROMA - “Piuttosto che tornare in Libia preferirei morire”. Lo dice chiaramente Hermann, uno dei migranti ancora a bordo della nave Sea Watch, ferma da sei giorni al confine della acque territoriali italiane, a 16 miglia da Lampedusa. Il divieto allo sbarco nel nostro paese sta prolungando la permanenza delle persone a bordo: solo ieri è stato autorizzato lo sbarco di 10 persone, tra cui due neonati e le persone più vulnerabili. Mentre sulla Sea Watch 3 rimangono 43 persone, tra cui anche alcuni minori non accompagnati, il più piccolo ha 12 anni. “Vorrei solo fare una domanda - continua Hermann, originario della Costa D’Avorio -: Chi non non ama la libertà nella sua vita? Chi vorrebbe soffrire tutta la vita? Noi oggi ci troviamo in questa situazione non perché vogliamo esserci ma perché vi ci siamo trovati. Vi chiedo di riflettere: non avete idea di quello che succede in Libia. Vi mostrano solamente delle foto, ma noi lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Voi fate leggi che ci impediscono di oltrepassare i vostri confini, ma dove dovremmo andare? Io, Hermann, piuttosto che tornare in Libia preferirei morire. Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto che essere nuovamente torturato”.

Il ragazzo si rivolge poi al ministro dell’Interno tedesco: “Per favore pensi alla vita che stiamo conducendo, non è umano lasciar morire le persone in mare. Coloro che ci aiutano, coloro che ci salvano non sono criminali, salvano la nostra vita. Ci pensi, siamo tutti figli dello stesso Dio. Dovremmo vivere insieme come fratelli, come amici. Dovremmo poter vivere le nostre vite come voi. Anche noi abbiamo diritto alla libertà come tutti gli altri”.

Ma la situazione non sembra in via di risoluzione. Nella notte di sabato alla capitana della nave, Carola Rackete, 31 anni, è stato notificato da parte della Guardia di finanza il decreto sicurezza bis entrato in vigore il 15 giugno scorso dopo la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ora, se l’equipaggio decidesse di entrare nel porto di Lampedusa, rischierebbe una multa di 50 mila euro e la confisca della nave, più l’incriminazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini continua, infatti, sulla linea dura di considerare il rifiuto di Sea Watch a riportare i migranti in Libia come un atto illegale. In realtà, come spiega la portavoce dell’ong, Giorgia Linardi: “La Libia non è riconosciuta come porto sicuro a livello internazionale né dall’Oim né dall’Unhcr né dalla Commissione europea né dalla Farnesina. Lo diceva lo stesso ministro dell’Interno il 25 maggio scorso in una trasmissione televisiva. Se riportassimo i naufraghi in Libia commetteremmo un respingimento collettivo: crimine per cui l’Italia in passato è già stata condannata. Negli ultimi dieci giorni è stato bombardato un ospedale, sono stati distrutti diversi quartieri, questo è il paese dove ci si dice di riportare le persone soccorse, noi non lo faremo mai”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)