Sempre più armi per il mondo in guerra

1.739 miliardi di dollari sono stati spesi nel mondo lo scorso anno per comprare armi. L'Italia ha un export pari a 10 miliardi di euro, per metà verso Medio Oriente e Nord Africa.

Sempre più armi per il mondo in guerra

Dopo i picchi degli anni Ottanta e un periodo di decrescita, in questi ultimi anni la spesa militare mondiale continua ad aumentare: 1.739 miliardi di dollari nel 2017. Le guerre non cessano mai perché i governi hanno sempre più interesse a vendere e comprare armi. Una constatazione cinica e pragmatica che anche un bambino è in grado di comprendere, resa ancora più drammatica dalle cifre dell'import-export di armamenti, i cui dati più autorevoli sono forniti dal Sipri (Stockholm international peace research institute).

I principali esportatori nel quinquennio 2013-17 risultano nell'ordine gli Usa, la Russia, la Francia, la Germania, la Cina, la Gran Bretagna, la Spagna, Israele, l’Italia e l’Olanda, che detengono il 90 per cento del mercato mondiale. Il flusso è diretto soprattutto verso l’Asia e Oceania (42 per cento, in particolare nell’area asiatica meridionale in relazione alle tensioni tra Cina, India e Pakistan) e verso il Medio Oriente (32 per cento, con il raddoppio dell'import rispetto al 2008-12). Tutti numeri aridi e noiosi, dietro i quali però non ci sono solo acquisti a scopo difensivo ma tragedie immani e perdite di vite umane. Come la vendita di armi all'Arabia Saudita, aumentata del 225 per cento per rifornire la coalizione impegnata nel feroce conflitto in Yemen. O il dato sul raddoppio delle vendite verso gli instabili Paesi del Medio Oriente o ancora le vendite di armi italiane al Qatar, ritenuto da molti come il principale sostenitore del terrorismo internazionale.

Gli Stati Uniti, come sempre, sono i più grandi esportatori di armi nel mondo, con il 34 per cento del totale mondiale. Nel quinquennio 2013-17 hanno aumentato le consegne del 25 percento rispetto al periodo precedente, il picco più alto dalla fine degli anni Novanta, raggiunto durante l'amministrazione Obama.  Sulla base dei contratti stipulati nel 2017 si annuncia ancora un trend in crescita nei prossimi anni. Anche la Cina è in aumento del 38 per cento, come pure la Francia (27), mentre Russia e Germania hanno diminuito rispettivamente del 7 e del 14 per cento.

Non avendo le capacità per produrre armi in proprio, l'India risulta la principale importatrice di armi al mondo, con il 12 per cento del totale. Gli Stati Uniti sono i loro principali rifornitori, con un aumento vertiginoso. Il dato più preoccupante è però il raddoppio delle importazioni verso il Medio Oriente negli ultimi 10 anni: Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi e Qatar.

Anche l'Italia ha le sue responsabilità. Secondo l'ultima Relazione al Parlamento resa nota a maggio dalla Rete italiana per il disarmo, l'Italia ha rilasciato 10,3 miliardi di euro di autorizzazioni all'export di armi, la metà delle quali verso Medio Oriente e Nord Africa.

Il dato è in calo del 35 per cento rispetto al 2016 ma la commessa navale per il Qatar garantisce comunque un forte aumento rispetto al 2015 e una quadruplicazione delle licenze rispetto al 2014. I primi 12 Paesi destinatari sono, nell'ordine, Qatar, Regno Unito, Germania, Spagna, Usa, Turchia, Francia, Kenya, Polonia, Pakistan, Algeria e Canada. In totale, nel 2017, l'Italia ha venduto armi a 86 Paesi.

«Seguendo il filo rosso del commercio di armi ci indirizziamo verso guerre in atto e possibili guerre future non meno preoccupanti – commenta Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell'Archivio Disarmo, che ha ripetutamente denunciato in questi anni le responsabilità del nostro Paese e della sua industria di armamenti – Anche l'Italia ha più che triplicato in questi ultimi anni le vendite di armi all'estero, contribuendo ad alimentare conflitti e tensioni, che generano instabilità e movimenti di profughi. Preoccupano in particolare le nostre esportazioni verso l'Arabia Saudita, il Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti: tutti Paesi impegnati nella sanguinosa guerra in corso in Yemen».

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