Siccità: nella Bassa Modenese in viaggio tra chi non si arrende alla ‘grande sete’

Nella Bassa Modenese tra agricoltori, allevatori e viticoltori impegnati a fare fronte alla siccità e ai rincari di elettricità e gas, conseguenze della guerra in Ucraina, con creatività, tradizione e proposte concrete. La necessità di realizzare, come chiedono Coldiretti e Anbi, almeno 10mila invasi sparsi sul territorio, per conservare l’acqua piovana e distribuirla quando serve

Siccità: nella Bassa Modenese in viaggio tra chi non si arrende alla ‘grande sete’

(da Carpi) Sono 225mila le imprese agricole che operano in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Regioni che da sole da sole rappresentano, secondo la Coldiretti, quasi la metà del valore dell’agricoltura italiana. Messe insieme producono il 76% del grano tenero per fare il panel’88% di mais per l’alimentazione degli animali, il 97% del riso. Nelle loro stalle si allevano anche il 66% delle mucche e l’87% dei maiali. Per queste Regioni il Consiglio dei Ministri, nel tardo pomeriggio di ieri, ha deliberato lo stato di emergenza per siccità, stanziando 36 milioni di euro. La dichiarazione dello stato di emergenza è valida fino al 31 dicembre 2022 ed è “volta a fronteggiare con mezzi e poteri straordinari la situazione in atto, con interventi di soccorso e assistenza alla popolazione interessata, e al ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche”. La scarsità di pioggia e la conseguente siccità, il clima rovente di queste settimane, unite agli effetti della guerra in Ucraina che impattano soprattutto sul piano energetico (balzo delle bollette di elettricità e gas e del prezzo del gasolio) rappresentano quella ‘tempesta perfetta’ che rischia di abbattere il capitale dell’agroalimentare Made in Italy. I danni hanno già superato i tre miliardi di euro.

L’immagine che più di altre fotografa questa situazione drammatica è il fiume Po, ai livelli minimi da 70 anni. Ai minimi anche i grandi laghi del Nord (Garda, Maggiore, Como) da sempre usati come riserve di acqua per le popolazioni e l’agricoltura. In alcuni tratti il letto del fiume più lungo d’Italia è una distesa di sabbia. Il cuneo salino che lo risale per 30 chilometri mette a repentaglio l’ecosistema fluviale e le colture che fanno segnare importanti cali di produzione in diversi settori. Anche in quello dell’allevamento: il dimezzamento delle piogge nel 2022, segnala la Coldiretti sta avendo un effetto devastante sulle produzioni di latte, meno 20%, nelle stalle con le mucche stressate dal caldo torrido, meno 45% per mais e foraggi usati per alimentare gli animali, meno 15% per la frutta ‘ustionata’ dal caldo.

Allevamento. A confermarlo al Sir è Luca Poletti, giovane titolare dell’omonima società agricola e di allevamento situata a Medolla, nella Bassa Modenese. Qui si produce latte per un’eccellenza italiana, il Parmigiano Reggiano. Nella enorme stalla sono accolte, per la mungitura quotidiana, 110 mucche frisone: “Da queste parti le chiamiamo le ‘Ferrari da latte’ – dice Poletti –. I nostri capi in totale sono circa 270. Siamo tenuti al rigoroso rispetto del disciplinare del Parmigiano Reggiano. Ogni giorno diamo alle nostre mucche oltre 34 quintali di mangimi il cui costo è aumentato del 40%. Il caldo si fa sentire anche sugli animali: la produzione di latte è calata di circa il 20%. Prima facevamo 36-37 quintali di latte al giorno, ora arriviamo a mala pena a 30”.

Nella stalla delle enormi pale muovono l’aria per dare refrigerio alle mucche e per mantenere costante la temperatura interna. Non senza un aggravio dei costi. “Le nostre bollette elettriche – afferma il giovane allevatore – sono aumentate del 40% circa”. Ma l’elenco dei costi non si ferma qui. Spiega Poletti: “La mia azienda possiede circa 140 ettari di terra da cui otteniamo i prodotti utili a foraggiare le nostre vacche, come il mais, la soia, il sorgo. Sono colture che vanno irrigate adesso. Il rischio è che anche i prati nuovi, seminati a foraggio, vadano persi per la siccità. Per raddrizzare la situazione avremmo bisogno almeno di 70/90 millimetri di pioggia, tre giorni di piovaschi regolari ma non temporali, grandinate o alluvioni che farebbero altri danni”. In attesa della pioggia si continua a trebbiare, ma anche in questo caso le spese sono raddoppiate: “il gasolio agricolo è passato da 0,72 euro dell’anno scorso all’1,42 di quest’anno. Sono aumenti che per un perverso effetto domino si riverseranno alla fine anche sul consumatore”.

“Se non dovesse piovere sarà il disastro. In campagna non rimarrà nulla”

conclude Poletti che non perde la speranza riposta nella dichiarazione, da parte del Governo, dello Stato di emergenza: “ci potrebbe aiutare poiché allenterebbe alcune norme e regolamenti vigenti. Ma l’emergenza – sottolinea – deve essere superata con scelte strutturali di lungo termine, come la creazione di invasi per raccogliere le acque piovane”. La realizzazione di una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, per conservare l’acqua e distribuirla quando serve ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, è da tempo nell’agenda sia di Coldiretti che dell’Anbi, l’Associazione nazionale bonifiche irrigazioni, entrambe convinte della necessità di trattenere l’89% dell’acqua piovana che generalmente va dispersa (270 miliardi di metri cubi, ndr.).

Agricoltura. “Creare invasi per le piogge piovane è una soluzione di buon senso che potrebbe tamponare questo tipo di emergenza. Ma occorrono soldi e volontà politica” conferma al Sir Andrea Ferrarini, titolare con la sorella Monica, dell’azienda agricola Ferrarini, con sede a Quarantoli Mirandola (Mo).

Da oltre 25 anni impegnati nella produzione bio-dinamica di orticoli (fagiolini, cipolle, scalogno) e di altri prodotti per la grande distribuzione, l’azienda è cresciuta dai 4 ettari iniziali ai 180 attuali, imponendosi come un’eccellenza in questo mercato di nicchia. “Lavoriamo per il 70% per la distribuzione specializzata estera, soprattutto in Svizzera, Germania, Austria e il restante per il mercato interno” afferma Ferrarini. “L’obiettivo che ci prefiggiamo come azienda – aggiunge – è accrescere la fertilità del terreno, migliorare il suolo e produrre piante sane. Tra i princìpi dell’agricoltura biodinamica ci sono, infatti, la biodiversità e la rotazione delle colture, l’uso di materiali non chimici per la concimazione e la cura delle piante”. Adesso il nemico è rappresentato dalle alte temperature e dalla siccità. “È così da mesi – ammette l’imprenditore agricolo mentre mostra i campi coltivati prossimi alla raccolta -. In aprile la temperatura era già aumentata di tre gradi rispetto alla media stagionale, e a maggio si sono registrate punte di oltre 30 gradi. Un caldo anomalo che ha provocato la maturazione anticipata di prodotti come l’aglio, il grano, il fagiolino, lo scalogno, le cipolle e le patate. Maturando prima e senza una crescita regolare i calibri dei prodotti risultano inferiori alla media: le patate restano piccole, il fagiolino abortisce il fiore compromettendo la resa del prodotto. Il consumatore non acquisterà mai patate, cipolle o fagiolini di piccola pezzatura e di scarso peso. Così per noi sarà difficile rientrare dei costi delle sementi, della manodopera, del carburante i cui prezzi sono tutti cresciuti vertiginosamente”.

In questo periodo la fitta rete di canali che circonda i campi mostra un livello di acqua di almeno 15/20 cm più basso rispetto alla media del periodo e con il passare dei giorni l’acqua irrigua pompata dal fiume Po sarà sempre di meno. “Le alte temperature ci obbligano ad accorciare le cadenze di irrigazione. Se dovesse venire a mancare l’acqua allora avremo perso la battaglia”. Ma non la guerra: Ferrarini sta mettendo in campo tutta l’esperienza della tradizione agricola per fronteggiare questa emergenza: “dopo aver irrigato cospargo di argilla bianca (caolino) le piante contribuendo a mantenere la loro temperatura più bassa di almeno due gradi; per abbassare i costi del carburante presto istallerò pannelli solari sui trattori; ho avviato un allevamento di asini e di bovini, razza angus, per ottenere il letame da usare come concime”. Per Andrea e Monica Ferrarini esiste anche un’altra chiave per attutire la crisi del momento:

“ridurre gli sprechi: abbiamo pensato di recuperare quei prodotti come agli e cipolle che per via delle dimensioni più piccole sarebbero stati scartati. Puliti e imballati con cartone riciclabile vengono venduti anche come mono porzione. Si tratta di prodotti integri e sani, anche se più piccoli”.

“Il tutto viene fatto applicando disciplinari riconosciuti come ‘Biosuisse’ organico. Nel prossimo futuro arriverà anche la pasta realizzata con il nostro grano. Un accordo con ristoratori locali ci aiuterà a farla conoscere. Non inventiamo nulla, basta guardare ai nostri vecchi e a ciò che ci hanno insegnato”. Tra tutti gli insegnamenti uno su tutti ha una stringente attualità: “evitare lo spreco di acqua. Io credo che bisogna avere un po’ di buon senso e mettersi d’accordo tra agricoltori evitando egoismi e sprechi. Questo significa irrigare a rotazione, prelevando le acque del Po ancora presenti nei canali, senza penalizzare nessuno”.

Viticoltura. Da chi sta già raccogliendo a chi si prepara a farlo: è il caso dell’Azienda agricola di Mario Bottura, situata a Chiesa San Marino, a Carpi. Una zona famosa per il Lambrusco, altra eccellenza non solo regionale ma nazionale. “Ho un’azienda di 80 ettari, di questi 10 sono a vigneto, lambrusco e salamino dop, – afferma Bottura – il resto è diviso equamente tra prati da sfalcio (per stalle), mais, frumento, pere e barbabietole. Si tratta in larga parte di colture irrigue, tranne il frumento che però quest’anno lo è diventato per il caldo e per scarsità di piogge”.

Bottura, come gli altri suoi colleghi agricoltori e allevatori, lamenta il prezzo raddoppiato del gasolio, “passato da 0,70 centesimi a 1,40 euro più Iva”, il rincaro della bolletta energetica, la scarsità di materiale come il vetro per l’imbottigliamento del vino, la difficoltà ad avere l’acqua irrigua dalla Bonifica dell’Emilia Centrale che serve 212mila ettari di terreno. “Quest’ultima – spiega – ha enormi problemi di pescaggio dell’acqua dal Po a causa dell’accumulo di sabbia del letto del fiume che deve essere rimosso per permettere alle pompe di pescare l’acqua. Ci sono scavatori che lavorano per questo scopo aggravando i costi di estrazione”. “A metà settembre – dichiara l’imprenditore – cominceremo la vendemmia. Ma se dovesse permanere la situazione attuale per noi sarebbe un dramma. Le viti stanno soffrendo la siccità. Basta vedere il numero di chicchi di un grappolo per capire la differenza con altre viti che invece hanno avuto acqua”.

“Senza la risorsa, l’uva non matura, non avrà liquidi, rimanendo solo la buccia. E poiché la vite produce uva sul legno di secondo anno è facile capire che la siccità di questo anno avrà ripercussioni sulla produzione del prossimo”. Le soluzioni proposte da Bottura sono due in particolare: una, da attuarsi subito, consiste nel permettere di “togliere la sabbia del letto del fiume Po davanti le pompe e creare un alveo di 150 metri dal punto di pescaggio delle acque irrigue”. L’altra è la realizzazione entro il 2030 di 10mila invasi naturali per trattenere le acque piovane, come chiedono da tempo Coldiretti e Anbi. “È necessario programmare gli invasi come hanno fatto altri Paesi, creare sbarramenti nei fiumi, sistemi di chiuse e canali. Ora che l’attenzione è alta e bisogna affrontare il problema in modo serio anche perché l’andamento climatico non lascia molte speranze. Il rischio, se dovesse tornare a piovere, è quella di dimenticare l’emergenza. I problemi poi si ripresenteranno alla prima occasione”.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir