Tempesta Vaia. La mobilitazione per salvare Paneveggio, la foresta dei violini

La tempesta Vaia aveva distrutto, in una notte più buia delle altre, la foresta di Paneveggio, la “foresta dei violini”, il bosco di abeti rossi

Tempesta Vaia. La mobilitazione per salvare Paneveggio, la foresta dei violini

Il bosco è il luogo della fantasia. Chi abita in montagna lo sa. Conosci ogni albero, ogni tronco, ogni sasso. Memorizzi il luogo dove in autunno spuntano dopo le prime piogge i funghi e quello dove, in primavera, maturano le fragoline e i mirtilli. Scegli il posto migliore dove sdraiarti a guardare il cielo e le nuvole che giocano a nascondino tra i rami degli alberi, mentre il profumo fresco della resina sale su per le narici e il delicato fruscio dei rami ti sussurra nelle orecchie.

Poi accade che, quando meno te lo aspetti, nel cuore della notte quel leggero fruscio si trasforma in un suono cupo. Mentre le campane del paese iniziano a suonare all’impazzata, la cieca violenza del vento schianta a terra migliaia di alberi. Vanno giù come birilli, uno dopo l’altro. E al mattino, appena inizia ad albeggiare, davanti a te quel paesaggio da sogno in cui sei cresciuto, insieme alla tua fantasia e ai tuoi sogni, non c’è più. Quegli alberi secolari ora sono solo tronchi schiantati disordinatamente a terra, come tanti bastoncini dello shangai. Questo è quello che si sono ritrovati davanti agli occhi gli abitanti della val di Fiemme, in Trentino, a fine ottobre scorso. La tempesta Vaia aveva distrutto, in una notte più buia delle altre, la foresta di Paneveggio, la “foresta dei violini”, il bosco di abeti rossi dove – si narra – che lo stesso Antonio Stradivari ai aggirasse alla ricerca di alberi da cui realizzare i suoi violini. All’improvviso la “foresta della musica”, dopo aver emesso un drammatico grido, aveva perso il suo suono. “Alberi di 200 anni che non ci sono più. Che noi, i nostri figli, i nostri nipoti, non potranno mai vedere. Questo è il bosco. Questo è il dramma…”, scriveva il 1 novembre sulla sua pagina Facebook Fabio Ognibeni.

Lo conosceva bene, quel bosco, Fabio. Lui che, con la sua ditta a conduzione familiare, quegli alberi li trasforma in “tavole armoniche” per strumenti musicali e che ha percorso quella foresta palmo a palmo alla ricerca del “tronco perfetto”. “Fibra sottile come seta, un tessuto che ha 200 anni di vita, paziente e silente finché chi lo sceglie ne sa scatenare la musica che pazientemente conserva nelle sue fibre – scrive su Facebook -. Il miracolo del legno di risonanza. Un miracolo che ho imparato ad amare”. È come cercare un ago nel pagliaio: su circa 1400 tronchi, possono esserne selezionati come “legno di risonanza” una novantina. Poi, nella scelta finale ne saranno confermati “forse” la metà. Ma ne vale la pena. Ed ora non c’è tempo. Perché per salvare quei tronchi preziosi dalle muffe e dai parassiti, occorre intervenire prima dell’estate. Entro giugno o luglio, non oltre. Passano pochi giorni, il tempo di asciugare le lacrime, e Fabio si rimbocca subito le maniche. Decide di lanciare un “crowfunding a restituzione”: chiede attraverso il web che gli venga imprestato del denaro per salvare il legno di risonanza, impegnandosi a restituire i soldi entro due o tre anni, a tasso zero. La proposta cattura il cuore di centinaia di persone. E mentre il numero dei donatori e delle donazioni si moltiplicano sempre più, lui è lì, nel bosco del suo cuore, a cercare di salvare più tronchi possibili. La tempesta Vaia, che sembrava averlo separato per sempre dalla “foresta dei violini”, lo ha unito invece ancora di più a lei. Ad oggi è riuscito a salvare 822 alberi. C’è ancora molto da fare. L’energia e la passione non mancano. “Tutto quello che poteva diventare musica deve diventare musica – afferma -. Questo è il modo per salvare la musica del futuro”.

Un violino può suonare per 300 anni, un pianoforte per 100 anni. I nostri figli e i nostri nipoti non potranno più vedere la “foresta dei violini”, ma la potranno ascoltare per tanti anni ancora e il suo suono arriverà là, dove nessuno avrebbe mai immaginato potesse arrivare.

Irene Argentiero

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Fonte: Sir