Tra Usa e Cina il confronto si gioca anche sulla ricerca scientifica in agricoltura
Nella comunità scientifica e negli ultimi anni, la quantità di lavori scientifici in arrivo dalla Cina e presentati in tutte le principali riviste di biologia vegetale è costantemente aumentata.
Non solo dazi. La guerra commerciale fra Usa e Cina è solo la punta dell’iceberg del conflitto che contrappone i due Stati. Nascosta al grande pubblico, dietro le quinte delle cronache, si combatte una battaglia per certi versi ben più cruenta, certamente più importante: quella della ricerca agricola. Perché a ben vedere è lì che si decide il futuro dell’agroalimentare dei due Paesi e, in qualche modo, quello di gran parte dell’agricoltura mondiale. Una situazione nella quale l’Europa sembra segnare il passo.
Una efficace fotografia della situazione è stata scattata recentemente da Harry Klee, presidente della ASPB (la Società americana dei biologi delle piante), in un articolo apparso su ASPB News e ripreso in Italia dall’Accademia dei Georgofili. Dopo aver spiegato che la ricerca agricola (ma non solo quella), viene condotta in Usa partendo dai centri pubblici per poi essere trasferita alle società private, Klee lancia l’allarme. Guardando agli ultimi dati certi disponibili, il presidente della ASPB spiega come l’impegno finanziario Usa, finalizzato alla ricerca, abbia avuto una forte battuta d’arresto; nel 2016 sono stati spesi 4,1 miliardi di dollari per l’intero settore della ricerca in agricoltura – circa lo stesso stanziamento del 1990 – di cui solo 1,5 miliardi sono stati devoluti alla ricerca sulle piante. Nello stesso periodo in Cina è stato effettuato un percorso inverso: solo nel 2013 sono stati stanziati 9 miliardi di dollari per la ricerca agraria.
Il risultato, secondo Klee, è evidente. Nella comunità scientifica e negli ultimi anni, la quantità di lavori scientifici in arrivo dalla Cina e presentati in tutte le principali riviste di biologia vegetale è costantemente aumentata. Addirittura lo scienziato parla di una “disarmante stagnazione degli Usa” che invece di aumentare gli stanziamenti li ha semplicemente confermati. Per capire poi le proporzioni della lotta rispetto all’Europa, basta pensare che (secondo un recente studio di Confagricoltura), fra il 2008 e il 2015 la Cina ha aumentato del 335% la spesa per abitante destinata alla ricerca e sviluppo, gli Usa del 55%, l’Italia del 12,3%. Mentre fra il 2008 e il 2016 la percentuale di spesa destinata alla ricerca agricola sul Prodotto interno lordo in Italia è diminuita del 33%; in Spagna anche, in Germania è cresciuta del 50%, in Francia è rimasta costante. In Italia, sempre secondo i dati Confagricoltura, nel 2016 gli stanziamenti pubblici destinati a ricerca e sviluppo nel settore agricolo sono stati pari a 275 milioni di euro (-37% circa neo confronto con il 2008), in Europa sono arrivati a circa 3,1 miliardi (-4,1%).
I numeri da mettere in elenco e i confronti statistici potrebbero essere ancora molti. Ed è certo che nel confronto occorra tenere conto delle proporzioni dei contendenti, delle loro storie, delle tipologie diverse di produzione agricola oltre che della qualità della stessa. Proprio sulla qualità però occorre fare attenzione. Parlando di ricerca e di stanziamenti economici, non si possono trascurare gli orientamenti della ricerca stessa, gli obiettivi cioè delle indagini in laboratorio e sul campo. Gli approcci a temi come quelli relativi agli Ogm, all’uso di prodotti chimici di sintesi, alle tecniche stesse di allevamento e di produzione in campo, divergono enormemente e indicano metodi di produzione spesso opposti e inconciliabili.
Rimane il dato di fondo: la sproporzione fra l’impegno economico, e scientifico, fra ricerca agricola in Usa e Cina e analoghe attività nel Vecchio Continente e in Italia. Certo, i mezzi sono diversi e probabilmente non comparabili, ma che occorra fare di più è quasi una necessità dettata dagli eventi.
Andrea Zaghi