Tumori, Favo: in fase 2 è stato fatto molto poco per i pazienti

Il presidente De Lorenzo: "Fatto poco per garantire continuità di accesso alla diagnosi, ai trattamenti terapeutici e agli screening, condizione questa che porterà a registrare inevitabilmente un consistente aumento del numero di morti"

Tumori, Favo: in fase 2 è stato fatto molto poco per i pazienti

L'esperienza acquisita nel corso della prima fase della pandemia vede oggi un impatto positivo nell'aumento delle guarigioni da Covid-19, nella riduzione di ricoveri in terapia intensiva e nel minor numero di decessi. "I malati di cancro però- afferma Francesco De Lorenzo, Presidente Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e Past President Ecpc (European Cancer Patient Coalition)- constatano con viva amarezza che nella fase 2 è stato invece fatto molto poco per garantire continuità di accesso alla diagnosi, ai trattamenti terapeutici e agli screening, condizione questa che porterà a registrare inevitabilmente un consistente aumento del numero di morti per cancro, non soltanto per il 2021 ma anche negli anni successivi. Ci troviamo pertanto nel mezzo di una vera e propria emergenza oncologica".

Tali considerazioni sono state illustrate da Favo, lo scorso luglio, in audizione presso la XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, riscontrando particolare attenzione, interesse e consenso. "Oggi Favo- continua De Lorenzo- chiede che venga subito approvato il nuovo Documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro (Piano Oncologico nazionale), con un contestuale indispensabile monitoraggio. Il Piano deve porre al centro della programmazione le Reti oncologiche regionali, tenendo conto del documento sulle 'Revisione delle Linee Guida organizzative e delle raccomandazioni per la Rete Oncologica’, con cui le rappresentanze dei malati hanno finalmente l'opportunità di incidere in modo determinante in ogni aspetto dell'assistenza e della cura, dalla definizione dei percorsi, all'individuazione dei nuovi trattamenti terapeutici, fino alla valutazione dei servizi".

"Nel 2020, in Italia sono stimati 377mila nuovi casi di tumore- spiega Giordano Beretta, Presidente Nazionale Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Responsabile Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo- Le malattie oncologiche hanno un forte impatto sulla vita dei pazienti e su quella delle loro famiglie, condizionandone moltissimi aspetti, dal lavoro alla sfera delle relazioni sociali, dalla condizione economica a quella psicologica. Sul fronte dell'organizzazione, la svolta è rappresentata dalla reale istituzione delle reti oncologiche regionali, attive solo in alcune Regioni e in forme diverse. La concreta realizzazione di questi network consentirà di migliorare i livelli di appropriatezza, di estendere a tutti i cittadini i programmi di prevenzione e di risparmiare risorse da utilizzare per velocizzare l'accesso ai farmaci innovativi".

Un conforto viene dalla Commissione Europea che ha finanziato cinque missioni per trovare soluzioni alle cinque sfide di salute globale che il mondo sta affrontando, con uno stanziamento di 100 miliardi. Walter Ricciardi, Presidente della Missione sul cancro, la cui mission possible è salvare tre milioni di vite entro il 2030, sottolinea che "per raggiungere questo scopo sono state individuate cinque aree di intervento: comprendere, prevenire ciò che si può prevenire, ottimizzare la diagnostica e il trattamento, sostenere la qualità della vita, garantire un accesso equo. La Mission rappresenta una grande opportunità per il Paese di unire le nostre migliori eccellenze in ricerca e assistenza al fine di attivare preziose sinergie e condividere le diverse competenze in ambito oncologico. La Mission propone 13 raccomandazioni coraggiose, mirate a interventi precisi, incentrate sulle esigenze delle persone e che richiedono un livello di cooperazione mai visto prima tra cittadini, ricercatori, istituzioni e paesi".

'L'emergenza Covid-19 ha avuto significativi impatti gestionali anche per l'Inps- dichiara Raffaele Migliorini, Coordinatore Generale Medico-legale Inps- che ha dovuto salvaguardare dal rischio contagio sia i malati da sottoporre a visita per l'accertamento della disabilità che il personale Inps, sospendendo temporaneamente le visite ambulatoriali in presenza ed implementando e valorizzando gli accertamenti da remoto solo sugli atti e sulla documentazione sanitaria. Questa soluzione dettata dall'emergenza, è stata apprezzata come buona pratica dai malati che possono evitare di essere sottoposti ad un'ulteriore visita e, in termini di efficienza ed efficacia del sistema di semplificazione dell'iter, trova ratifica nell'art. 29 ter della Legge 120 dell'11 settembre 2020'.

Si è parlato di questo oggi durante la presentazione del 12° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, nel corso della XV Giornata nazionale del malato oncologico promossa da Favo, rinviata quest'anno eccezionalmente a ottobre.

È stata anche presentata- continua il comunicato- la fotografia delle gravi conseguenze del cancro sulla vita professionale, scattata da un'indagine, pubblicata sul Rapporto, promossa da Favo nel 2018 (e realizzata da Datamining, con la collaborazione dell'Int di Milano, del Pascale di Napoli e dei 34 punti informativi di Aimac su tutto il territorio nazionale) su 1.289 pazienti e altrettanti caregiver.

"Donna, vive al Sud, casalinga, ha tra i 35 e i 44 anni ed è colpita da tumore della mammella. È l'identikit del paziente oncologico, in cui il disagio economico e psicologico causato dalla malattia è in assoluto più forte- sottolinea Francesca Traclò, Responsabile Area ricerca Favo- più in generale, in Italia, il 70% dei cittadini colpiti da cancro manifesta difficoltà finanziarie (rilevanti nel 7%). E il 65,5% sottolinea conseguenze sulla salute mentale (gravi nel 6,7%). Per il 30% la malattia ha influito negativamente sulla carriera in termini di mancato avanzamento, riduzione dell'orario di lavoro da full-time a part-time, ricollocazione in altro ambito professionale e, nei casi più drammatici, perdita del lavoro. Tra i pazienti oncologici infatti, la popolazione attiva diminuisce dal 51% al 39% a seguito della diagnosi, un dato che sottolinea la difficoltà di mantenere il lavoro. Ben il 65% dei pazienti più penalizzati in termini di disagio economico rilevante è costituito dai non occupati (lavoro casalingo, disoccupati e cassa integrazione) e il 16% dai lavoratori autonomi (liberi professionisti, commercianti e studenti)".

"I dati dell'indagine evidenziano come il nostro sistema di welfare risulti inadeguato a rispondere alle esigenze dei malati di cancro, che rappresentano una popolazione in continua crescita- sostiene Elisabetta Iannelli, Segretario Favo- Oggi, in Italia, sono 3,6 milioni i cittadini vivi dopo la diagnosi di tumore, con un incremento del 37% rispetto a 10 anni fa. Due fenomeni in particolare vanno tenuti in debito conto: da un lato l'abbassamento dell'età media del malato, dall'altro la crescita dei contratti di lavoro flessibili che caratterizza la situazione lavorativa del Paese. Il combinato disposto di questi due fattori accentua la debolezza del sistema, soprattutto per quello che riguarda gli assetti assistenziali e previdenziali, lasciando scoperti di tutele proprio i più giovani e, in particolare, le donne inattive al momento della diagnosi, con età compresa tra 35 e 44 anni, che vivono al Sud. La vulnerabilità economica si correla a quella psicologica determinando, come mostra anche un'ampia letteratura scientifica, un impatto negativo non solo sulla qualità ma anche sulle aspettative di vita. Sempre di più i malati oncologici riescono a coniugare lavoro e terapie, se l'ambiente di lavoro e il contesto che li circonda permette loro di combinare, con adeguata flessibilità e ragionevoli aggiustamenti, tempi di lavoro e di cura. È, dunque, importante costruire modelli di welfare, capaci di creare quelle giuste sinergie fra sanità, previdenza, terzo settore e mercato del lavoro, affinché si generino contesti adeguati al malato del XXI secolo".

Nel 12° Rapporto è evidenziata anche l'obsolescenza delle apparecchiature di radioterapia. "Il 40% di tutti i tumori guariti viene eliminato grazie alla radioterapia, da sola o in combinazione con altri tipi di trattamento- sottolinea Vittorio Donato, Presidente Airo- L'Italia dispone complessivamente di 183 centri di Radioterapia, pubblici o privati accreditati, corrispondenti ad una media nazionale di circa 3 centri ogni milione di abitanti. La disomogeneità regionale è evidente, con la concentrazione più bassa al Sud dove sono presenti 2,4 centri per milione di abitanti e più alta al centro, dove invece si contano 3,1 centri per milione di abitanti. Complessivamente vi sono 377 acceleratori lineari (Linac). Il 45,5% delle 430 Linac ha un'età superiore ai 10 anni. Di queste peraltro, il 29% supera i 12 anni".

Un'altra grave questione, denunciata nel 12° Rapporto e che ha risvolti anche sulla vita professionale dei malati, riguarda i pazienti con tumore al colon retto, alla prostata, alla vescica e alla laringe e che spesso subiscono la rimozione chirurgica dell'organo. "Convivere con i conseguenti devastanti effetti che tali patologie comportano sulla qualità di vita 24 ore su 24 è estremamente complicato. I principali problemi- sottolineano Francesco Diomede, Vice Presidente Favo e Presidente Fincopp, e Roberto Persio, Consigliere Favo e Presidente sezione romano laziale di Ailar- che attanagliano le persone stomizzate, prostatectomizzate, cistectomizzate o laringectomizzate, sono emarginazione sociale, mancanza di autostima, fondato rischio di perdita del posto di lavoro, mancata attuazione dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, burocrazia perenne negli Uffici protesi. Per ottenere la 'continenza’ ed avere una qualità di vita quantomeno dignitosa, sono costrette ad utilizzare e richiedere alle Asl sacche, placche, cateteri, pannoloni, traverse, cannule tracheali, prodotti per piaghe da decubito, cioè articoli definiti 'dispositivi medici monouso’. Questa irreversibile condizione- conclude FAVO- obbliga i pazienti a richiedere più volte l'anno, di solito ogni due mesi, i dispositivi medici prescritti, che dovrebbero essere considerati prodotti salvavita, da non attribuire tramite gare d'appalto pubbliche al prezzo più basso. In realtà, avviene proprio questo, con tentativi da parte delle Centrali di Acquisto e delle Asl di consegnare ai pazienti monoprodotti, il cui unico requisito risulta il prezzo più basso, con l'esclusione dei dispositivi di qualità e innovativi".

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)