Una Manovra in chiaroscuro. Nota politica
Sul nostro Paese la spesa per interessi sul debito pesa in modo abnorme rispetto a Francia e Germania
La prossima manovra economica sarà la prima che si confronterà con le nuove regole europee. L’Italia opterà per la soluzione che “spalma” su sette anni la traiettoria per riportare i conti in ordine: una scelta inevitabile per un Paese ad alto debito come il nostro, ma anche un’opportunità perché dovrebbe impegnare il governo a prendere decisioni con una visione più lunga e più larga di quella indotta da esigenze elettoralistiche e corporative.
Il “piano strutturale di bilancio di medio termine” – questo il nome tecnico del documento-chiave di tutta l’operazione – dovrebbe essere portato in Consiglio dei ministri intorno alla metà del mese o subito dopo, in una fase economica che per il nostro Paese è caratterizzata da vistosi chiaroscuri. Dal lato della crescita, l’andamento complessivo sembra confermare per quest’anno le previsioni avanzate dal governo ad aprile, con quel +1% del Pil che invece era stato accolto con estremo scetticismo dalla gran parte dei commentatori, compresi quelli istituzionali. Per l’anno prossimo la crescita potrebbe essere anche superiore di qualche decimale, in un contesto in cui gli altri big europei annaspano (e non c’è nulla da gioire per miope nazionalismo, visto che la Germania è un nostro partner commerciale decisivo). Dal lato della spesa, in cinque anni l’aumento delle uscite è stato vicino al 40%, il doppio di quello dei prezzi, così che in termini reali l’incremento è stato del 20,6%. Un salasso per i nostri conti. A giugno il debito pubblico ha superato i 2900 miliardi di euro, ennesimo record negativo, aggravato dal fatto che l’Italia non può più vantare la risorsa degli “avanzi primari”, vale a dire la differenza positiva tra ciò che lo Stato incassa e ciò che spende ogni anno, al netto degli interessi pagati sul debito accumulato. Entrate e uscite vive, insomma. L’avanzo primario è un indicatore fondamentale dello stato di salute dei conti pubblici anche perché vuol dire che non si produce nuovo debito e, anzi, quel che resta in cassa può essere utilizzato per pagare gli interessi o ridurre il debito stesso. Tra Covid e crisi energetica, sono ormai alcuni anni che l’Italia ha un disavanzo primario e non un avanzo e raddrizzare questo andamento sarà uno dei compiti più ardui della prossima manovra di bilancio. Richiederà scelte ponderate e lungimiranti.
Resta il fatto che sul nostro Paese la spesa per interessi sul debito pesa in modo abnorme rispetto – per esempio – a Francia e Germania. L’Italia è un “debitore onorabile”, come ha ricordato il presidente Mattarella nel lucidissimo intervento al Forum di Cernobbio, e la sua situazione economica non giustifica la differenza dei tassi praticati sui mercati internazionali. Il che non ci esime dal fare fino in fondo il nostro dovere perché abbattere il debito è un’esigenza “ineludibile” e, a ben vedere, per tutte le sue implicazioni, “una grande questione civile, sociale e persino democratica”. Ma per dare equilibrio e razionalità al funzionamento dei mercati servirebbe anche “completare l’edificio finanziario europeo in maniera più rassicurante per tutti, ponendovi mano sollecitamente”. Il problema è che le forze che si oppongono a questa prospettiva sono le stesse che recriminano contro l’Europa per la sua inadeguatezza.