Venezuela, elezioni legislative: “Nel paese si muore di fame e gli ospedali sono collassati”

Il 6 dicembre i cittadini saranno chiamati a rinnovare l’Assemblea nazionale, il parlamento unicamerale venezuelano. Attesa la vittoria di Maduro, ma la comunità internazionale non riconoscerà il risultato per mancanza di trasparenza. Alfredo Luis Somoza, esperto di America Latina: “Nessuno si occupa ormai più di Venezuela: eppure i poveri continuano a soffrire e il Covid ha peggiorato la drammatica crisi sanitaria”

Venezuela, elezioni legislative: “Nel paese si muore di fame e gli ospedali sono collassati”

Chi si ricorda del Venezuela? Domenica 6 dicembre nel paese si terranno le elezioni legislative, un importante appuntamento per l’attuale presidente Nicolás Maduro: mentre l’opposizione appare divisa e ha deciso di boicottare le elezioni, dicendo che sicuramente non saranno trasparenti, anche la comunità internazionale non riconoscerà il risultato. I cittadini saranno chiamati a rinnovare l’Assemblea Nazionale, il parlamento unicamerale attualmente controllato dall’opposizione, che riuscì ad ottenere la maggioranza alle legislative del 2015.

Quello che è successo dopo è noto alle cronache: alle elezioni presidenziali di fine 2018, Maduro aveva vinto, ma c’erano state denunce di brogli e irregolarità. Nel gennaio 2019 Juan Guaidó, capo dell’opposizione, tentò la spallata: fu riconosciuto come presidente legittimo dalla comunità internazionale, ci furono mesi di proteste di piazza e repressione, gli Stati Uniti imposero sanzioni molto severe. A un certo punto sembrò che il regime di Maduro dovesse crollare, ma non è successo.

E oggi, in che stato arriva alle elezioni un paese che prevede di chiudere il 2020 con un’inflazione del 1.800 per cento, la cui moneta, il bolivar, si è svalutata del 60 per cento solo nell’ultimo mese? E che negli ultimi quattro anni ha visto l’emigrazione di 5 milioni di venezuelani verso altri paesi?

La situazione più critica è quella sanitaria: già prima della pandemia gli ospedali erano collassati per mancanza di forniture di medicinali e per la fuga all’estero di medici e infermieri – spiega il giornalista, scrittore e antropologo Alfredo Luis Somoza, esperto di America Latina –. Oggi, con il Covid-19, non abbiamo dati certi, le statistiche che arrivano sono inverosimili anche rispetto ai paesi vicini. Di Venezuela però si sente parlare sempre meno: dopo la tentata spallata di Guaidò e l’ultima ondata di solidarietà verso la crisi umanitaria che si sta consumando, la comunità internazionale ha deciso di non occuparsi più di Venezuela. In molti sembrano essersi dimenticati della crisi economica, sociale ed umanitaria che sta lasciando in ginocchio la popolazione: eppure i poveri continuano a morire di fame, come prima e più di prima”.

Come mai nel paese non si è arrivati a una guerra civile?
“Forse proprio perché negli ultimi 4 anni il 18 per cento della popolazione se n’è andato. Si tratta del più grande episodio di fuga di massa nella storia americana: a livello mondiale il Venezuela è secondo solo alla Siria, nonostante non sia un paese in guerra. Quasi due milioni di venezuelani si trovano oggi in Colombia, ma ci sono anche grandi comunità venezuelane nelle capitali di diversi paesi dell’America latina, come a Città del Messico o a Santiago del Cile. In Europa stiamo assistendo a un ingresso massiccio di oriundi, emigrati di seconda o terza generazione che hanno anche il passaporto del paese d’arrivo, soprattutto in Spagna e in Italia. Chi è rimasto in Venezuela è chi non si è potuto permettere di andarsene, quindi i ceti più poveri, che sono quelli che stanno soffrendo di più. Non è certo una cosa che non ci riguarda: solo in Italia ci sono mezzo milione di oriundi venezuelani”.

In che modo Maduro sta mandando avanti un paese che da quattro anni sembra sull’orlo di esplodere?
“Il governo venezuelano ha fatto gradualmente delle mosse che hanno portato a configurare un regime: oggi nel paese non c’è separazione tra i poteri; il potere legislativo è di fatto nelle mani di un’assemblea costituzionale che ha sostanzialmente esautorato il Parlamento; ci sono prigionieri politici, testimonianze di torture, e le elezioni non hanno garanzia di trasparenza. Tutto è nato da un’ostilità interna tra governo e opposizione, ma oggi ormai il Venezuela fa parte del più ampio conflitto che nella scacchiera mondiale vede contrapporsi da un lato gli Stati Uniti, dall’altro la Russia, la Turchia, l’Iran e la Cina. Quest’ultimo blocco, uscito vincitore dalla guerra siriana, sta sostenendo il regime di Maduro, fornendo al paese il minimo sostegno necessario per tenersi in piedi”.

Cosa ci si aspetta per le elezioni di domenica?
“Alle elezioni di domenica mancano le garanzie necessarie di trasparenza e l’opposizione non ha una reale possibilità di partecipare. La classe politica continua così a recitare il copione di una democrazia che nei fatti non esiste più: un colpo di stato di fatto non c’è stato, ma è avvenuto quello che in America Latina si chiama un ‘golpe blanco’, che avviene quando un governo democraticamente eletto mette in atto trucchi e trucchetti per perpetrarsi al potere. La stessa cosa è successa di recente anche in altri paesi, come in Peru con Fujimori e in Bolivia con Morales”.

Che ruolo ha l’embargo degli Stati Uniti nella crisi del paese?
“Secondo alcuni, in Venezuela si starebbe combattendo una guerra contro l’imperialismo, e tutti i problemi deriverebbero dall’embargo degli Stati Uniti. Ma la verità è molto diversa: nel paese c’è una cricca al potere fortemente collusa con il narcotraffico, sia nella politica che nell’esercito, visto che oggi tutta la droga che va verso l’Europa passa per il Venezuela. C’è corruzione, inefficienza, uno stato collassato. La retorica antimperialista piace soprattutto a chi in Venezuela non ci vive”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)