Violenze, respingimenti, abbandono: i migranti nel gelido inverno dei Balcani

Un lungo report della Rete RiVolti ai Balcani raccoglie le testimonianze di quanto accade da anni sul confine orientale. L'appello all'Italia e all'Europa è di bloccare i respingimenti illegittimi e offrire condizioni degne di accoglienza 

Violenze, respingimenti, abbandono: i migranti nel gelido inverno dei Balcani

Le violenze, i respingimenti, le condizioni di abbandono e vulnerabilità. E’ il quinto gelido inverno nei Balcani e le condizioni dei migranti che provano a varcare i confini dell’Europa sono sempre più difficili. Una situazione che chiama in causa le responsabilità dei governi nazionali, delle istituzioni europee ma anche delle agenzie internazionali. A denunciarlo chiaramente è l’ultimo report della Rete RiVolti ai Balcani. 

Il lungo dossier ripercorre tappa dopo tappa la crisi nei Balcani a partire dal 2015, da quando il 21 novembre è stato chiuso il passaggio a chi non poteva dimostrarsi siriano, iracheno o afghano. “In Grecia, a ridosso del confine macedone di Gevgelija, nasce l’embrione di ciò che sarebbe divenuto il 'campo dei campi', simbolo della vergogna europea: Idomeni. A fine anno in Grecia si contano oltre 911 mila arrivi, di cui mezzo milione siriani, 210 mila afghani e 90 mila iracheni” si legge nel report. Nel marzo 2016 con il cosiddetto 'accordo' tra Unione europea e Turchia, è serrato in modo definitivo il canale lungo la rotta balcanica e il viaggio verso l’Europa torna pericoloso e costoso, anche in termini di vite. Circa 60 mila persone restano bloccate all’interno dei Paesi balcanici, 50 mila nella sola Grecia, di cui 15 mila a Idomeni: si pongono così le basi per un’ulteriore esternalizzazione di confini e campi che tra il 2017 e il 2018 avrebbe coinvolto anche i Paesi dei Balcani. A cavallo tra il 2016 e il 2017 migliaia di persone vivono all’addiaccio in Serbia, principale snodo per l’Europa. A Belgrado, i capannoni nei pressi della stazione, le barracks, diventano il nuovo centro nevralgico della rotta".

“Con la chiusura ufficiale della Balkan Route nel marzo 2016 decine di migliaia di persone si sono trovate intrappolate tra i confini dei Paesi attraversati dalla rotta, ma nonostante il famigerato accordo turco-europeo migliaia di migranti passati dalla Turchia alla Grecia hanno continuato nel loro tentativo di raggiungere a piedi i Paesi dell'Ue risalendo attraverso i Balcani - spiega RiVolti ai Balcani -. Nella primavera del 2018, vista la difficoltà sempre maggiore di uscire attraverso il confine a Nord tra la Croazia e la Serbia, e con la chiusura quasi assoluta delle liste di attesa per richiedere asilo in Ungheria all’interno delle zone di transito, centinaia di migranti guidati da trafficanti e passeur hanno aperto una nuova rotta, iniziando a spostarsi verso l’ampio confine tra la Bosnia ed Erzegovina (BiH) e la Croazia, puntando principalmente alle città di Bihać e Velika Kladuša”. 

Stando ai dati ufficiali nel 2019 in Bosnia ed Erzegovina sono 29.537 le persone registrate, il che significa che i numeri reali delle persone transitate sono molto più alti. L’accoglienza resta concentrata nelle regioni della Krajina e nei dintorni di Sarajevo. Non vengono aperti nuovi centri e la maggioranza della popolazione migrante arriva nel Paese dalla città di Tuzla, dove operano solo volontari locali e piccole organizzazioni a distribuire cibo e coperte presso la stazione dei bus - luogo di accampamenti notturni - , senza che per ragioni politiche si apra mai un centro di accoglienza. 

Una parte consistente del dossier riporta le denunce documentate di abusi e aggressioni nei confronti dei migranti che provano ad attraversare i confini. La Rete chiama in causa anche le responsabilità del governo italiano che da mesi sta attuando la strategia delle riammissioni informali, per rimandare indietro le persone che arrivano dalla rotta balcanica al confine orientale del nostro paese. 

Per questo RiVolti ai Balcani chiede al governo italiano e ai governi nazionali di tutti i Paesi interessati di fermare immediatamente i violenti respingimenti, le riammissioni e le espulsioni collettive di rifugiati e migranti e in ogni caso interrompere l’utilizzo illegittimo degli accordi bilaterali di riammissione e di cooperazione di polizia in violazione del diritto dell'Unione europea e del diritto internazionale; di garantire l’accesso alla procedura di asilo e a tutti i diritti e le garanzie previste dal diritto dell'Unione europea fin dalla manifestazione di volontà di chiedere protezione internazionale anche attraverso un’adeguata formazione delle autorità di frontiera; di sollecitare l’intervento delle istituzioni europee per programmi di intervento adeguato sia in Bosnia ed Erzegovina sia negli altri Paesi dell’area balcanica.

All’interno del dossier c’è un appello rivolto anche all'Unione europea. Si chiede di fermare immediatamente i respingimenti a catena, le riammissioni e le espulsioni collettive nonché le violenze delle polizie coinvolte utilizzando misure appropriate, comprese le procedure di infrazione; di condurre indagini indipendenti su respingimenti collettivi e violenze, garantire rimedi efficaci per tali violazioni e istituire un sistema di monitoraggio e sorveglianza alle frontiere esterne ed interne efficace e indipendente tale da consentire di intervenire anche nelle zone poste in prossimità delle frontiere stesse.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)