Voto in Sud America, "il Covid pacifica il clima politico"

Domenica scorsa le elezioni in Bolivia, che hanno visto vincitore il socialista Luis Arce, si sono svolte in maniera pacifica e partecipata, mentre in Cile si avvicina il giorno del referendum per una nuova Costituzione. L’analisi di Somoza, giornalista: “La pandemia ha placato le mobilitazioni che hanno incendiato il Sud America alla fine del 2019. Ma non ha fermato la transizione verso una miglior qualità della democrazia”

Voto in Sud America, "il Covid pacifica il clima politico"

Il Covid ha placato le mobilitazioni che hanno incendiato il Sud America alla fine dell’anno scorso, ma non ha fermato la transizione verso una miglior qualità della democrazia. Lo dimostrano le elezioni di domenica scorsa in Bolivia, che si sono svolte in maniera pacifica e partecipata, mentre in Cile si avvicina il giorno del referendum in un clima tutto sommato disteso, se pensiamo alla violenza delle proteste di un anno fa”. È l’analisi di Alfredo Luis Somoza, giornalista, scrittore e antropologo esperto di America Latina.

Il 18 ottobre, la Bolivia ha votato per scegliere il suo nuovo presidente, dopo che il novembre scorso il paese aveva attraversato un momento di grande instabilità con le dimissioni dello storico presidente socialista Evo Morales (al momento in esilio in Argentina), tra accuse di golpe, brogli elettorali e proteste. A vincere le elezioni è stato Luis Arce, il candidato del Movimento al socialismo (Mas), lo stesso partito di Morales. E anche in Cile si avvicina il 25 ottobre, giorno del referendum per rivedere la costituzione ereditata dalla dittatura di Augusto Pinochet, referendum indetto dal Parlamento il novembre scorso dopo le grandi manifestazioni antigovernative in cui ci sono stati 30 morti e migliaia di feriti. Domenica scorsa, in occasione dell’anniversario dall’inizio della “rivolta sociale”, migliaia di persone sono tornate in piazza a manifestare e si è assistito a violenze e attacchi: due chiese sono state bruciate e alcuni negozi sono stati presi d’assalto. Ma le dimensioni della mobilitazione non hanno nulla a che vedere con le enormi proteste dell’anno scorso.

In Sud America, la pandemia ha messo in luce una serie di problemi ormai piuttosto antichi – spiega Somoza –. I primi ad essere colpiti sono stati i poveri e i poverissimi, che non possono mettere in atto il distanziamento sociale e che molte volte non hanno neanche l’acqua per lavarsi. In più, con i tagli al welfare pubblico, l’assistenza sanitaria è molto relativa e il diritto alla salute è garantito solo a chi acquista un’assicurazione privata. In questo senso, emblematico è il caso dell’Uruguay, il paese dove il Covid ha avuto una minor incidenza: questo è stato possibile grazie ad anni e anni di investimenti sulla spesa pubblica del governo di José Mujica, che ha puntato in particolare sul potenziamento del sistema di medicina territoriale”.

A causa del blocco di molte attività per contrastare la diffusione del coronavirus, la crisi economica che colpisce il continente si aggrava: già il Venezuela di Nicolás Maduro era fuori controllo, con una crisi alimentare che nel 2019 era stata la quarta più grave al mondo. Ora anche gli altri paesi subiscono le ripercussioni della pandemia, in particolare a causa di economie eccessivamente dipendenti dalla vendita delle commodity, delle materie prime, il cui prezzo è calato molto: l’Argentina in particolare sta vivendo un preoccupante processo di iperinflazione ed è a un passo dal default.

“È una situazione economica di grandissima incertezza – commenta Somoza –. Per via del divieto di assembramento dovuto al Covid, però, le mobilitazioni popolari si sono fermate. In Brasile, dove il presidente Bolsonaro era arrivato a un livello bassissimo di consenso, è bastato dare un contributo di 300 euro ai più poveri per far crescere nuovamente la sua popolarità. In Bolivia il processo elettorale si è svolto in un clima assolutamente pacifico e il Mas si è confermato il partito maggioritario: quello che non era mai stato perdonato a Evo Morales era il fatto di volersi ricandidare oltre il limite dei mandati, ma in generale il suo operato era stato molto apprezzato. Azzeccata è stata anche la scelta di candidare Luis Arce, molto apprezzato, che è stato ministro dell’Economia durante il governo Morales e che ha costruito il cosiddetto miracolo boliviano”.

Domenica 25 ottobre sarà la volta del Cile, che dovrà votare per approvare la scrittura di una nuova Costituzione, anche se la vittoria del sì è data quasi per scontata, con una percentuale che nei sondaggi si aggira tra il 60 e il 70 per cento. “Si chiuderà così una delle più grandi transizioni democratiche del mondo: la costituzione di Pinochet determinava fortemente la politica cilena e la sua economia fortemente neoliberista – conclude Somoza –. Il Cile è il paese più conservatore di tutta l’America Latina e i cambiamenti avvengono molto lentamente: per decenni c’è stata una specie di sonnolenza che ha portato al mantenimento dello status quo. Le grandi manifestazioni dell’anno scorso hanno risvegliato la classe politica. Con la scrittura di una nuova Costituzione indubbiamente assisteremo a un rinnovamento: vedremo fino a che punto si riuscirà a cogliere questa occasione per cambiare davvero le cose e rompere l’ordine esistente”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)