Di là del poggiolo e tra gli alberi

Ogni giorno sul nostro terrazzo va in scena la recita della giornata, fatta di chiacchiere, panni stesi e di un ritrovato senso della prospettiva.

Di là del poggiolo e tra gli alberi

Il nostro appartamento ha un lungo poggiolo di legno affacciato in una corte interna. La stradina d'accesso si divide dalla via principale e, compiuta una stretta curva intorno al caseggiato di fronte, scende per raggiungere un altro paio di abitazioni più avanti.

Il nostro poggiolo, stretto com'è fra il tetto di lamiera del corpo aggiunto del fabbricato e la vicinanza del viottolo, è girato con una certa sfrontatezza verso i nostri vicini.

È quasi impossibile rimanervi un quarto d'ora senza incrociare qualcuno che entra o esce dalla casa di fronte, indugia nel viottolo o traffica nella piazzetta subito a monte. 

In principio questa particolare condizione ci sembrò un limite, ora invece non la cambieremmo per nulla al mondo.

Il resto del condominio ha una vista migliore della nostra, bisogna dirlo: nonostante la cucina affacci verso i paeselli abbarbicati sul lato opposto della valle e le montagne che confinano con l'Austria, gli altri hanno le Dolomiti a mezzogiorno a fargli compagnia.

Ma fuori dalle loro finestre non c'è vita, non si muove una foglia se non per qualche timido soffio di vento.

Sotto alle nostre, invece, tutto è vivo e in perenne movimento. Si scambia una parola da un terrazzo all'altro, si condividono con i vicini ragionamenti sui serramenti — bello il legno ma all’ennesima carteggiata e riverniciata cominci a rimpiangere il pvc — e si finisce per conoscersi un po'meglio.

Dai terrazzi come il nostro si è vista la Via Crucis del Venerdì santo così come la benedizione delle case, condotta porta a porta da don Fabio il giorno di Pasqua.

Dalle nostre finestre, ogni giorno, va in scena quel complicato rito di alza e ammaina bandiera fatto con le tende avvolgibili, segno tangibile di come lo scrivano di casa non abbia perso la sua abitudine di dormire al pomeriggio e lavorare di notte.

Anche nel pratone dietro casa, col calare della sera si affollano i cerbiatti, me ne sono accorto tornando dalla Veglia: in pochi minuti ne ho contati 22, oltre ad una mezza dozzina di lepri ben pasciute. 

La natura si riprende i suoi spazi e inizia a fregarsene anche di noi curiosi che, quando incrociamo un cerbiatto stravaccato sul ciglio del tornante, freniamo la macchina, scendiamo e tentiamo di fotografarlo col telefono.

Il cerbiatto si guarda intorno perplesso, si alza stiracchiandosi le sottili zampe e si avvia con tutta calma verso il bosco, volgendo le terga agli improvvisati naturalisti.

Le nostre giornate quassù scorrono serene, un sole primaverile si è stabilmente piazzato sopra le nostre teste e invade, un paio di volte al giorno, anche il terrazzo rivolto a mezza tramontana dove mia madre tenta — e a volte riesce — di far asciugare i panni stesi ad un cordino tirato internamente, da un capo all'altro della balaustra.

Le assi del pavimento scricchiolano da quando le prime magliette di cotone stese al sole le hanno avvisate dell'arrivo della bella stagione.

Alcune tavole son da cambiare, altre solo da riverniciare, tutte avrebbero bisogno di una pausa dalla nostra ronda quotidiana che esce dalla porta-finestra della cucina e rientra da quella della camera da letto, finendo per piantonare la finestra del bagno a mezza strada.

Lo scrivano di casa — che poi sono sempre io, solo con la barba incolta e i baffi ormai anarchici — seduto al tavolo da pranzo tiene d'occhio tutta la faccenda e annota in un quadernetto ciò che lo colpisce, sbirciando di fuori quando dalla caletta sente ridere o chiacchierare.

Ogni tanto si trasferisce persino sulla panchina posta all'ingresso del condominio. Per non dare nell'occhio, si nasconde dietro lo schermo dell’ipad ingombro di cervellotici articoli economici e politici. Solo quando è sicuro che nessuno più gli badi, convinto d'aver difeso a sufficienza la dignità dell'ordine, tira fuori l'ultimo numero di Topolino scaltramente nascosto nella tasca interna della giacca e rimane lì seduto a far finta che questo tempo di sospensione dal mondo non possa finire mai.

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