Intuire il “di più” che arriva in forme e nomi venerati

Uno sguardo tra le religioni orientali. Le religioni non sono tutte uguali: luogo comune che a volte favorisce superficialità.

Intuire il “di più” che arriva in forme e nomi venerati

«Immergeteli verso il nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo» chiede Gesù agli undici sul monte prima di tornare al Padre. Padre, Figlio e Spirito quindi sono, per noi che crediamo in Gesù, dei "nomi", e cioè persone, soggetti. Alcuni padri della chiesa antichi, di lingua greca, preferivano chiamarli prosopa, e cioè “volti” (noi traduciamo “persone”).

Il Padre, è vero, nessuno lo ha mai visto e in qualche modo il suo volto risplende a noi solo nel volto del Figlio, eppure Gesù ci dice che alcuni angeli (quelli dei piccoli) vedono sempre «il volto del Padre» (Mt 18,10).
Neanche lo Spirito in sé ha volto, ma diventa gli infiniti volti del Figlio in quanti in lui confidano. Nomi, volti, sono allora per noi cristiani parole dense, e ci offrono infinite possibilità di relazione personale.

Nelle terre del riso invece, là dove il nutrimento non viene dal cielo (pioggia e sole), ma dall’acqua sul terreno, il rispetto non va solo a Chi simbolicamente sta in alto, al di sopra di tutti (il Padre), ma a tutto quello che circonda e in cui si è immersi.
Per questo molti mistici dell’Estremo Oriente considerano apparenze o addirittura inganni i nomi (nama) e i volti (rupa, cioè forme) divini, eppure in genere non disprezzano i fratelli delle loro fedi, quando essi usano nomi e danno forme, perché sanno che Quello che “è Uno” assume davvero infiniti nomi e forme (namarupa).

Gesù non era un pittore, come nessun ebreo al suo tempo. Eppure ha dipinto Dio con le parole, lo ha dipinto in campi di grano e di fiori, in uccelli che si nutrono, in banchetti di nozze, in famiglie, in amicizie ecc. Una volta che ha “dipinto” dei figli che mangiano il pane, una donna, una mamma, ha osato dipingere sotto la tavola di questi figli dei cagnolini che mangiano le briciole che cadono loro.

Gesù non si è sentito disturbato, anzi: ha aggiunto una parola di guarigione (Mt 15,28) o ha riconosciuto nelle parole stesse di lei una grande forza di intercessione presso il Padre suo (Mc 7,29). Eppure questa donna era “pagana”, abituata forse a inginocchiarsi di fronte a delle immagini o a offrir loro dei doni: cose proibite agli ebrei, e considerate pericolose anche ad altri.

Un giovane musulmano una volta si è scandalizzato che io studiassi le religioni orientali: idolatri!, diceva. Anche noi consideravamo così quei popoli pieni di immagini, ai nostri occhi spesso incredibili, a volte perfino mostruose. Ma sono davvero “pagani”? Molti di loro intuiscono il “di più” che arriva a loro nelle forme e nei nomi che venerano.

Intuire un di più in ogni forma, in ogni figura delle religioni orientali, ce lo siamo proposto, una dozzina di studenti e io, in un seminario organizzato all’Issr di Padova, e cioè in una ricerca comune. Ciascuno sceglieva alcune forme visive venerate nel lontano Oriente e le presentava agli altri proiettandole sullo schermo. Ogni religione ha, per chi la professa, una sua bellezza, che coinvolge, riscalda, unisce… Bellezza hanno in particolare le immagini che le varie fedi creano, immagini fatte di parole, di pietre o minerali, di colori. Ma la bellezza, per essere percepita nel suo vero valore, ha bisogno di familiarità e di simpatia, di stupore, di contemplazione, di silenzio.

In questo modo ci siamo aperti a leggere insieme espressioni artistiche visive dei tanti centurioni (la cui fede Gesù non l’ha vista neanche in Israele: Lc 7,9) e delle tante siro-fenicie che cercano Dio.
Non sempre è stato facile. E probabilmente siamo rimasti molto alla periferia. La curiosità e il rispetto comunque non ci hanno impedito di riconoscere distanze e differenze. Le religioni non sono davvero tutte uguali, come vuole suggerirci un luogo comune che a molti cristiani sembra favorire pace ma a volte favorisce superficialità.

don Giuseppe Toffanello

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