Olio, segno dello Spirito Santo che rialza e vivifica

Chiese&chiose. Riflessioni sul "segno dell'unzione": «Ungiamo distribuendo noi stessi, distribuendo la nostra vocazione e il nostro cuore»

Olio, segno dello Spirito Santo che rialza e vivifica

Ho avuto l’incarico di celebrare, qualche domenica fa, la cresima in una parrocchia (anzi due comunità sorelle) della Diocesi, terza volta che mi è capitata tale esperienza; o meglio, che ho ricevuto questo dono. Perché il compito affidatomi, pur occasionalmente, mi ha impegnato a capire un po’ meglio e approfondire il gesto che avrei ripetuto, i segni da porre “in fronte” ai ragazzi e davanti a una comunità. Ho dunque studiato il segno dell’unzione, tipico del sacramento della confermazione, e mi è piaciuto approfondirne il senso con letture varie.

Ovvio partire dal crisma, con tutte le valenze antropologiche legate all’olio: illuminazione, alimentazione, profumazione... Olio che, nel linguaggio dei Padri della Chiesa e anche nostro, è un segno dello Spirito Santo e insieme un simbolo dell’efficacia dell’azione divina, del “Dono” insito nel sacramento. Merita rilievo anche il balsamo, che emana un profumo gradevole (mi è rimasto addosso fino a sera…) e così aiuta a intuire che lo Spirito Santo invade le profondità della persona, ma insieme, sprigionandosi verso l'esterno e percepito da altri, promuove un effetto di bene verso il prossimo. Come non ricordare la parola di san Paolo: «Noi siamo per Dio il profumo di Cristo tra quelli che si salvano e per quelli che vanno in rovina; per gli uni odore di morte, per la morte, e per gli altri odore di vita, per la vita» (2Cor 2,14-16)?

Mi ha fatto molto riflettere l’omelia di papa Francesco alla messa crismale 2019. Ecco una parte: «Quando confermo e ordino mi piace spandere bene il crisma sulla fronte e sulle mani di quanti vengono unti. Ungendo bene si sperimenta che lì si rinnova la propria unzione. Questo voglio dire: non siamo distributori di olio in bottiglia. Siamo unti per ungere. Ungiamo distribuendo noi stessi, distribuendo la nostra vocazione e il nostro cuore. Mentre ungiamo siamo nuovamente unti dalla fede e dall’affetto del nostro popolo». È l’antica sapienza spirituale che ricorda al ministro che il ministero, vissuto con consapevolezza e profondità, arricchisce, non depaupera; ricarica, non svuota; santifica non astraendo ma immergendo nell’esistenza ordinaria. Si conferma che il sacramento inizia nel rito ma è completo nella vita: celebrare l’eucaristia fa crescere il senso di comunità, confessare e assolvere aiuta a comprendere meglio la misericordia di Dio anche per se stessi, vivere la famiglia nel quotidiano è dare pienezza al patto matrimoniale.

Un altro tocco caratteristico di papa Francesco, la concretezza “esistenziale”, contribuisce ad arricchire le potenzialità della metafora dell’unzione: «Ungiamo sporcandoci le mani toccando le ferite, i peccati, le angustie della gente; ungiamo profumandoci le mani toccando la loro fede, le loro speranze, la loro fedeltà e la generosità senza riserve del loro donarsi che tante persone illustri qualificano come superstizione. Colui che impara a ungere e a benedire si sana dalla meschinità, dall’abuso e dalla crudeltà». E il papa parla anche di «volti concreti, che l’unzione del Signore rialza e vivifica», di «unzione della carne ferita di Cristo», pensando «a tutti i traumi che lasciano persone, famiglie e popoli interi fuori gioco, come esclusi e superflui, ai bordi della storia». E senza dimenticare «l’unzione dello sguardo», con la «brillantezza che solo l’amore gratuito può dare». Una liturgia (gesti e segni), dunque, non avulsa dalla vita della gente e dalla storia degli uomini, ma stimolatrice di attenzione alla “polis”, di carità concreta, di azioni semplici ma efficaci nel bene.

Pronunciata per 23 volte la formula «Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono», ho cercato di spiegare che non è una “cosa” questo sigillo, ma è lo Spirito stesso. Come a dire: ricevi lo Spirito che è il sigillo di Dio, il segno e la prova che sei suo figlio amatissimo; l’attestazione della nostra appartenenza a Lui. E così il Padre nostro è risuonato più vivo e gioioso, con spontaneo prendersi per mano. Auspicando che il dono dello Spirito, che non si vede, porti frutti che si vedano: amore, gioia, servizio fraterno, testimonianza del vangelo di Gesù.

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