Oltre il nostro recinto, come un ponte sul mondo

Il mio campanile... il mondo In diocesi ci sono 111 mila stranieri di 150 nazionalità diverse. Un “biglietto da visita” che ci interpella, di don Elia Ferro. Don Elia Ferro, prete della chiesa di Padova e giornalista pubblicista, è stato missionario in Belgio. Dal 2002 è delegato per la pastorale dei migranti della diocesi di Padova. Nell’ottobre 2010 è diventato parroco del Tempio della Pace.

Oltre il nostro recinto, come un ponte sul mondo

Sicuramente la televisione, la stampa, i social continuano a tirarci per la giacca e ci invitano a guardare fuori casa. Peccato che abbiamo troppo poco tempo per renderci conto veramente del mondo che viviamo, per ricordare la nostra storia. La crisi economica, ma anche la crisi di idee, di valori, di prospettive, spinge molti a trincerarsi in difesa e ad accontentarsi della veduta corta di una spanna. Il panorama politico è frantumato e noi sogniamo che gli altri si integrino, si uniscano a noi, condividano vita e pensiero. Focalizzati su noi stessi, sulla nostra situazione personale e collettiva, sul nostro presente, rischiamo di perdere tutto il valore aggiunto che le comunità immigrate, le loro altre tradizioni e la loro cultura possono portare. In diocesi abbiamo più di 111 mila stranieri, sono presenti più di 150 nazionalità, una grande varietà di confessioni e religioni, una popolazione giovane, silenziosa e laboriosa. Soprattutto sono un biglietto da visita di grandi paesi con milioni di abitanti, con tradizioni millenarie, con identità radicate e con spiritualità a noi sconosciute.

E noi schiudiamo le porte con difficoltà, ci preoccupiamo di accogliere e di inserire solo a modo nostro, velocizzando i tempi e sacrificando a volte la qualità della convivenza.

Queste finestre sul mondo, questi biglietti da visita ci proiettano fuori del nostro recinto e invitano a considerare gli immigrati, questo mondo in casa, come un ponte sul mondo. I nostri cinesi – numerosi, distaccati, silenziosi – non sono che polvere di Cina tra noi perché fanno parte di un paese che conta già un miliardo e 400 milioni di abitanti. Crescerà numericamente ma sarà presto superato dall’India che nel 2050 avrà un miliardo e 705 milioni di persone. Fa riflettere il fatto che in quell’anno anche la Nigeria supererà la popolazione degli Usa, arrivando a 398 milioni di abitanti e sarà il terzo paese più popolato nel mondo. In quel momento l’Italia supererà di poco i 56 milioni. Tra noi abbiamo già gli avamposti del futuro. Sono cifre e proiezioni che aiutano a ridimensionarsi e a situarsi nel mondo, a studiare come integrare, a prendere il tempo che serve per superare terrorismi etnici, smarrimenti e difficoltà. Vedere oltre fa bene, sgombra la strada da tante reticenze, ridimensiona le situazioni e sdrammatizza i problemi. Gli orizzonti di domani non sono poi così lontani ma richiedono tutta la nostra lucidità per portarvi un contributo originale e aperto, piccolo e umile ma indispensabile.

Non siamo al centro del mondo ma ne siamo una componente essenziale. Amo ricordare che i momenti più originali della storia della chiesa si sono avuti quando le chiese locali erano diversificate. Non sono mai state istituzioni grigie, composte da parti tutte uguali, né province con distretti identici. Ma comunità diverse che hanno testimoniato e testimoniano storie e carismi differenti nell’unità della stessa vocazione: testimoniare il vangelo al mondo. In un contesto non sempre facile, da una parte il compito e il valore delle comunità è di conservare la propria identità e vivere pacificamente e fraternamente accanto ad altre identità. Dall’altra devono avvalersi dei ponti con altre chiese e tradizioni valorizzando chi ha varcato le frontiere: questi non perdono le radici e, lungi dall’essere solo nostalgia e passato, restano un dono e un arricchimento della chiesa che l’accoglie. Essere cristiani senza frontiere non vuol dire senza radici o identità e neppure senza il terreno sotto i piedi, ma essere capaci di cattolicità e fraternità.

Nel crogiolo della difficoltà spesso partoriscono delle cose nuove. Nel crogiolo della vita concreta, nella chiesa e altrove, si costruisce il modo d’essere uomini e cristiani di domani, non a tavolino ma con la vita. Importante è lasciarci convincere a guardare oltre.

don Elia Ferro

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