G come giustizia. È una questione di diritti

"Se, come abbiamo visto, il bene comune è il fine della politica, l’attuazione di tale fine può avvenire solo per mezzo della giustizia". L'alfabeto della politica di don Giorgio Bozza arriva alla lettera G di giustizia, sempre più cruciale.

G come giustizia. È una questione di diritti

«Una volta che si è rinunciato alla giustizia – si chiedeva sant’Agostino, analizzando la crisi irreversibile dell’Impero Romano – che cosa sono gli Stati, se non una grossa accozzaglia di malfattori? Anche i malfattori, del resto, non formano dei piccoli Stati?» (De civitate Dei, IV, 4).

Se, come abbiamo visto, il bene comune è il fine della politica, l’attuazione di tale fine può avvenire solo per mezzo della giustizia.

Prima di darne una definizione, vorrei sottolineare alcuni elementi che entrano in gioco quando si parla di giustizia. Per fare questo, mi servo di un caso molto semplice: la divisione di una torta tra due persone.

giusta-ripartizione

"Giusta ripartizione", illustrazione di Gloria Bissacco.

Un primo elemento, così ovvio che a volte lo si dimentica quando si parla di giustizia, è la sostanza. Dove non c’è niente da dividere o da distribuire – torte, ricchezze, diritti, istruzione, etc. – dove non c’è niente che possa essere un guadagno per qualcuno e una perdita per un altro, non si può parlare di giustizia.

Una torta, secondo il nostro esempio, può benissimo essere oggetto di un’analisi chimica, gastronomica, estetica, ma per diventare una questione di giustizia serve anche un altro. Per me da solo la torta potrebbe essere una questione di moderazione; per entrare nell’ambito della giustizia, però, bisogna porsi questa domanda: come posso dividere la torta tra due persone?

Nemmeno la torta, la mia presenza e la presenza di un altro risolvono immediatamente il problema di una giusta divisione. Per parlare di giustizia è necessario un rapporto tra me e l’altro rispetto alla torta. Esempio: siamo due fratelli gemelli, c’è una torta, abbiamo lavorato tutti e due per quattro ore. Al momento del pranzo, nostra mamma divide la torta in due parti uguali e chiede a ognuno di noi quale preferisce. Giustizia è fatta? Sì. Quando, come e perché una parte della torta diviene la tua e un’altra parte la mia? Rispondere correttamente a questa domanda significa essere giusti.

Dunque, dietro il gesto della giusta divisione c’è un ragionamento. Nell’esempio della nostra torta, il ragionamento è il seguente: c’è una torta che abbiamo ricevuto da nostra mamma, siamo in due, siamo gemelli, abbiamo lavorato tutti e due per quattro ore, dunque: "metà e metà". Possiamo affermare che questo è un atto di giustizia perché conosciamo le circostanze nel quale si svolge. Non sarebbe difficile immaginare altre circostanze nelle quali un ragionamento che si conclude in “metà e metà” non sia giusto.

Infatti, se “metà e metà” in questo caso fonda un’azione giusta, bisogna essere chiari che non è l’uguaglianza delle porzioni che la costituisce. Una divisione “metà e metà” è chiaramente una forma di uguaglianza, ma non è certo l’unica. Esempio leggermente più complesso del precedente: oggi tu hai lavorato quattro ore ed io solo due. Da uomo giusto, a pranzo ti offro una porzione proporzionalmente più grande, se non lo faccio sono ingiusto.

Eccoci giunti alla definizione: «La giustizia è la volontà costante e perpetua di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo» (Eneo Domizio Ulpiano, 2° d.C.). Forse, dopo questo breve percorso riusciamo a comprendere perché la giustizia è la più importante tra tutte le virtù e disattenderla significa trasformare i nostri Stati in un’accozzaglia di malfattori.

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