Scottati dall'amore di Dio. Come essere politici spirituali?

«Quello che mi fa capire se uno è passato attraverso il fuoco dell’amore divino, non è il suo modo di parlare di Dio, ma il suo modo di parlare delle cose terrene».

Scottati dall'amore di Dio. Come essere politici spirituali?

Basterebbe questa citazione della filosofa francese Simone Weil per comprendere il tipo di rapporto che dovrebbe sussistere tra spiritualità e politica.

Da quando si sono dissolti i tradizionali partiti d’ispirazione cristiana, i credenti si sentono in diaspora. Nel tentativo di rientrare da questo esilio, alcuni propongono di rifondare un partito cristiano, modello Dc; altri di intraprendere strade nuove, come organismi più leggeri, movimenti, forum. La questione dei credenti in politica, però, non può concentrarsi solo sul modo in cui devono raccogliersi per essere più incisivi nell’agone politico, ma sul significato che si vuole dare all’aggettivo “spirituale” e come questo può essere declinato nell’ambito politico.

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La citazione di Weil è illuminante a questo riguardo. Troppo spesso siamo portati a pensare che la spiritualità sia un qualcosa da appiccicare sopra al proprio stato di vita, come un’etichetta su di una bottiglia di vino. Per la pensatrice francese, invece, essere donne o uomini spirituali significa aver sperimentato sulla propria pelle il fuoco dell’amore di Dio. Questa scottatura condizionerà in modo decisivo il proprio modo di parlare, non tanto di Dio – si possono fare grandi discorsi su Dio anche senza credere – ma delle realtà terrene, della concretezza della nostra vita e, rimanendo sul nostro tema, del come realizzare il bene comune.

Essere politici spirituali significa vivere la dimensione del gratuito, del dono, nello spendersi senza sperare o attendere un qualche contraccambio, meno che meno economico; basta lo stipendio, tutto il resto è corruzione! Un politico veramente spirituale ha imparato la difficile arte della gratuità, che consiste nello «spianare strade che non si percorreranno» (Florenskij).

In secondo luogo, “spirituale” in politica significa lavorare per ciò che dà significato all’esistenza degli uomini e non solo su ciò che piace, che spesso non coincide con il bene. Il nostro politico scottato dall’Amore deve, inoltre, saper scorgere la dimensione sacrale che abita in ogni persona; quell’unicità che la rende preziosa ai suoi occhi, unica, bella, anche se si trattasse del suo peggior avversario politico, che non può mai essere considerato un nemico. Chi è passato realmente attraverso il fuoco dell’amore di Dio sa spendersi senza riserve per la giustizia, l’amore, il rispetto dei diritti.

Il politico che vive a pieno la sua dimensione spirituale, infine, detesta la superficialità, l’esibizionismo e la mondanità; ha imparato ad abitare le profondità della propria interiorità. Ha compreso che questa immersione nelle profondità della vita è l’unico modo per resistere alle seduzioni del male. Infatti, deve gestire il potere al suo massimo livello che spesso ha un “volto demoniaco” (Ritter): si ha a che fare con i peggiori istinti dell’umano, si amministra la legittima violenza e si può addirittura privare della libertà un cittadino.

Resistere a tutto questo significa mettere in conto di attraversare momenti di solitudine e, solo se radicati sulla roccia della fede, non si corre il rischio di perdersi. Per questo sono indispensabili la riflessione, la preghiera, i sacramenti e l’ascolto della Parola che gli permettono di acquisire un «cuore che ascolta» (1Re 3,9). Tutti siamo testimoni che la forza sprigionata da alcuni grandi uomini politici rimanda alla loro profondità interiore.

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