Perdendo in contatto con se stessi si rischia di “scivolare”

L'odio ci fa pensare a inimicizia estrema, forte antipatia o avversione, disprezzo, attacco. Ma c'è dell'altro...

Perdendo in contatto con se stessi si rischia di “scivolare”

Anche l'odio, come ogni stato d'animo che l'uomo esperisce, racconta qualcosa di noi: dice, in modo tutto da decifrare, le nostre ferite, le paure, la sete d'amore, le frustrazioni ricevute, la rabbia mal espressa. Oggi il concetto di odio ci appare piuttosto semplice: indica inimicizia estrema, forte antipatia o avversione, disprezzo, fuga, attacco. Eppure, la sua apparente ovvietà è ingannevole, dato che l’odio abbonda di significati e si sviluppa dal sovrapporsi di elementi cognitivi, affettivi, culturali e di gruppo, in rapporti difficili e conflittuali fra loro.

rabbia

Lo sviluppo delle scienze umane e delle neuroscienze, ha messo in luce che le dinamiche in gioco nell'odio sono le stesse dell'amore: intimità (negata), passione, impegno. Assistiamo a diversi tipi e modi di odiare: vi è “l’odio freddo”, che ha disgusto per gli altri e li tiene a distanza in quanto diversi, se non anche repellenti. Rientrano qui i pregiudizi razziali, o le espressioni come «tu non sei italiano come me e certe cose non le puoi capire»; “l’odio caldo” è pieno di rabbia, tende ad aggredire l’oggetto odiato, oppure pieno di paura fugge dagli altri, percepiti come dannosi. Esempi sono un improvviso scatto d’ira verso chi ci ha spaventato comparendoci improvvisamente da dietro le spalle, oppure il meccanismo assai frequente della "collera della strada", quando un automobilista si comporta in modo altamente aggressivo nei confronti di un altro che può aver commesso un errore o, semplicemente, procedeva con lentezza. C’è poi una modalità di odiare attraverso la svalutazione, il disprezzo: è “l’odio gelido” che percepisce gli altri come esseri inferiori, guardandoli con superiorità, dipingendo un gruppo nemico come il regno del male, usando espressioni come «tu non cambierai proprio mai!».

Di solito si pensa che chi odia o comunque è violento, lo faccia perché ha una scarsa autostima. È convinzione diffusa che il tipo molto aggressivo sia facile all’odio a causa della immagine misera che ha di se stesso. Ma le numerose ricerche recenti portano a pensare che i gruppi e le persone con un’autostima più bassa sono, in genere, meno violenti, mentre sono le persone narcisiste ad essere più inclini all'odio, laddove percepiscono una qualche umiliazione, che mette in crisi l'immagine smisurata che hanno di sé.

L’odio non va contrapposto all’amore, come se fossero stati emozionali con poco territorio psicologico in comune o scarsa corrispondenza psichica. Il contrario dell’odio non è l’amore, ma l’indifferenza. L’odio incatena all’oggetto: chi odia vive quotidianamente con il proprio oggetto d’odio, ne diventa dipendente, tanto che la scomparsa del suo oggetto lascia nella tristezza e nella desolazione. Questo succede spesso anche in amore, almeno nella concezione comune che si ha dell'amore. Ed ecco perché il “rimedio”, se così possiamo dire, all'odio – ma anche all'amore mal-inteso - è ancora una volta l'attenzione, questa difficile arte di «comprendere le verità evidenti con tutta l’anima», come scrive Simone Weil, la capacità di accogliere il reale nella sua individualità e nelle sue esigenze proprie. L'esercizio vero di questa capacità è virtù rara di chi ha cura della propria vita interiore, esplorando tutti gli “strati” del sentire di cui si compone la profondità della persona. La distrazione del cuore è la condizione quotidiana della maggior parte di noi, la "perdita di contatto” con il fondo di se stessi. Si capisce bene, allora, perché sia più facile scivolare in quella “banalità del male” – di cui parla Hannah Arendt – che mettere in discussione se stessi.

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