Tristezza, se la evito rinuncio al sapore pieno della vita

La nostra cultura spesso ci porta a considerare l’essere tristi e malinconici come qualcosa da nascondere, e invece...

Tristezza, se la evito rinuncio al sapore pieno della vita

Nel mondo globalizzato in cui viviamo, siamo bersagliati da stimoli continui e passiamo spesso da un oggetto all’altro, da un’esperienza all’altra, con una apparente spensieratezza. Il sociologo Zygmunt Baumam (Paura liquida, Laterza, 2006) ha scritto che in questa apparente “leggerezza” e superficialità evitiamo di fare veramente esperienza della tristezza e della perdita: giochiamo di anticipo passando “di fiore in fiore”.

tristezza

La nostra cultura spesso ci porta a considerare l’essere tristi come un qualcosa che è meglio nascondere, non mostrare. Questo è vero soprattutto in certi ambiti di vita, dove la sofferenza propria e altrui sembra essere poco tollerata o accettabile. Ci troviamo spesso immersi in contesti competitivi che non favoriscono la libera espressione di emozioni che potrebbero farci apparire deboli, fragili, non abbastanza performanti o vincenti. Tendiamo a selezionare le emozioni, accogliendo solo quelle piacevoli, considerando quelle spiacevoli come “negative”. Tra queste troviamo appunto la tristezza. Potremmo definirla come una reazione emotiva di passività e ritiro associata a un vissuto di perdita, non solo di oggetti o persone care, ma anche di status, salute, obiettivi, valori.

In relazione all’evoluzione della nostra specie la tristezza ha rivestito un ruolo fondamentale. Essa può, infatti, essere considerata un segnale di attivazione del nostro sistema di attaccamento, che ci consente di segnalare all’altro il bisogno della sua presenza in momenti di difficoltà e costituisce la base delle nostre relazioni affettive più importanti. Il pianto stesso, che può essere un indicatore di tristezza intensa, aiuta a esprimere agli altri ciò che proviamo e segnala loro questo bisogno di vicinanza e aiuto. Altra funzione importante della tristezza è quella di consentirci il raccoglimento, promuovendo la riflessione e l’analisi profonda sugli eventi della nostra vita, con la possibilità di cercare un senso a quello che ci accade o al nostro dolore. È quindi fondamentale per elaborare gli eventi spiacevoli che ci accadono e ha anche la potenzialità di agire come stimolo al cambiamento, teso a raggiungere un equilibrio e un assetto che siano migliori per noi, mostrandoci nuove prospettive che forse prima non erano visibili.

Per consentirci di sentire la nostra tristezza ed esprimerla, dobbiamo consentirci di dire a noi stessi e agli altri che, quantomeno in uno specifico momento, siamo vulnerabili, che non bastiamo a noi stessi. Questo non è facile per tutti: si può infatti avere una sorta di timore ad accostare tristezza, malinconia o stati d’animo simili, se nella nostra storia di vita abbiamo appreso che, al momento del bisogno non c’è stato nessuno a sostenerci. In questo modo si impara a “non sentire”, piuttosto che esporsi al rischio di ritrovarsi di nuovo soli e ci si convince di essere autosufficienti qualunque cosa accada. Rinunciando però al sapore pieno della vita, in tutte le sue sfaccettature. Sentirsi tristi, malinconici, riconoscersi impotenti, è qualcosa di necessario alla vita umana. Ha qualcosa a che fare con lo scoprirsi mendicanti di senso.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)