Non cediamo al regno del “secondo me”

Se accettiamo di poter prescindere dalla realtà, il dialogo diventa impossibile. Avremo solamente l’accostamento, più o meno pacifico ed educato, di argomentazioni che partono da letture arbitrarie o più semplicemente da opinioni personali. Il regno del “secondo me” dove puoi dire, senza timore e vergogna, di tutto e di più dalla teoria di Gesù di origine extraterrestre, al falso sbarco sulla luna fino alla terra piatta.

Non cediamo al regno del “secondo me”

Oggi c’è del fermento in aula docenti. La professoressa di scienze sta raccontando di essere stata interrotta da un alunno, il quale contrapponeva alla sua spiegazione sulla forma geoide del nostro pianeta, la teoria della Terra piatta. All’inizio pensava a uno scherzo, ma la forza e la convinzione messe in campo, dimostravano nello studente una solida fede “terrapiattista”. Il racconto dà la stura ad altre confessioni tra colleghi. Il docente di religione si è visto presentare la teoria di un Gesù di origine extraterrestre, a colpi di riferimenti biblici e con tanto di spiegazioni etimologiche (sic) di parole ebraiche. Qualcuno per sdrammatizzare evoca la vicenda del finto sbarco sulla luna e altre amenità. Tutto sembra risolversi in una risata su questi fenomeni che girano in internet, quando la collega di storia e filosofia, che si è dovuta confrontare con alunni che negavano decisamente i campi di sterminio nazisti, pone una domanda inquietante: «ma come ci parli con chi nega la realtà dei fatti?».

terrapiattisti

Ed è qui il punto. Se accettiamo di poter prescindere dalla realtà, il dialogo diventa impossibile. Avremo solamente l’accostamento, più o meno pacifico ed educato, di argomentazioni che partono da letture arbitrarie o più semplicemente da opinioni personali. Il regno del “secondo me”: dove puoi dire, senza timore e vergogna, di tutto e di più. La questione non va sottovalutata. In particolare, se il processo investe i fondamenti della comunità civile. C’è il rischio reale che valori e principi dati per scontati, i quali hanno regolato fin qui il sentire comune, possano venire meno, lasciando un vuoto pericoloso, soprattutto nelle coscienze di chi si sta affacciando alla vita.

Questo avviene, per esempio, quando la frase “tutti gli uomini sono uguali” non è più scontata, ma magari sostituita da un “prima i nostri”. Così come non è senza conseguenze l’azione strisciante di minare i riferimenti ai valori costituzionali (festa del 25 aprile?), o di sdoganare l’uso di certe parole e riferimenti culturali figli di un tragico passato e condannati dalla storia. E vai con la frasetta razzista o il saluto romano: magari solo per scherzo, o come brand per alimentare certi sentimenti. Col risultato che a spiegare l’infondatezza scientifica del concetto di razza, a scuola, si incontrano delle difficoltà, che non c’erano tempo fa.

Da più parti, in particolare sono voci femminili, viene la sollecitazione a riflettere maggiormente su questa destrutturazione dei principi di valore. A un forum triveneto una di loro ha proposto di chiamare questo fenomeno: «la perdita dell'anima». In effetti, nell'analizzare il nostro tempo, si ha l’impressione che non tutto sia razionale, che nella radicalizzazione in atto vi sia qualcosa per cui è difficile trovare sempre delle spiegazioni o giustificazioni ragionevoli.

In quella sede qualcuno sottolineava che, forse, siamo in uno di quei momenti, in cui la società rischia di perdere la bussola della ragione. Un segno evidente e inquietante può essere lo sbiadirsi, anche in noi e nelle nostre comunità, del sentimento di compassione, l’incapacità cioè di mettersi nei panni dell’altro, di comprenderne le ragioni, la disponibilità a patire in qualche misura insieme. Questa è, può essere, la perdita dell’anima. Dinanzi a questo processo non serve né generalizzare né drammatizzare, quanto essere vigili e operosi. Parlare e agire nei nostri luoghi di vita come dei moltiplicatori di gesti di speranza e solidarietà, i veri anticorpi all’odio e al cinismo.

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