Parliamo di numeri. L’essere in pochi deve interrogarci
Il Maestro ci insegna: ha vissuto con un gruppo di soli dodici
Abramo contratta con Dio, nel celebre episodio della distruzione di Sodoma (Gen 18,23-33), e riesce a strappargli la promessa che, se in città avrà trovato almeno dieci giusti, non la distruggerà. Il numero dieci, per un cappellano di cinquant’anni fa, era incredibilmente esiguo, dato che i gruppi degli adolescenti o dei giovani che facevano scoppiare i patronati viaggiavano sull’ordine di decine o addirittura di centinaia. Il crollo delle nascite e il cambio di paradigma – da una fede sociologica e di massa al “piccolo gregge” – oggi ha ridimensionato le presenze, soprattutto di quelli che i capelli ce li hanno ancora tutti (e non tinti!).
Ma cinquanta, quaranta, trenta, venti sono ancora il target di riferimento ideale dei nostri gruppi (almeno prima dello stop determinato dalla pandemia). Insomma, un gruppo di dieci ci sembra ingiustificabile, uno spreco di tempo e di energie per gli educatori e i preti che lo accompagnano. Meglio allora mettere insieme le annate: tutti gli adolescenti delle superiori o tutti i giovani dai 18 ai 25 anni. E, se non basta, si gioca la carta del gruppo interparrocchiale, vicariale, intervicariale.
Ingrandendo il bacino, però, le dinamiche spesso mostrano identiche direttrici di sviluppo. Funziona? Funziona perché c’è il conforto di trovarsi “almeno in venti”. Funziona perché è meno difficile trovare accompagnatori disponibili e in gamba (ma sono davvero così povere le singole comunità?). Funziona perché è esaltante iniziare il primo incontro degli adolescenti di un vicariato in ottanta e in fondo ai ragazzi piace “trovarsi insieme”. Ma il grande gruppo non permette di andare in profondità, di creare relazione, di chiamarsi per nome. Il pullman affollato si svuota rapidamente e al capolinea opposto rischia di arrivare solo l’autista.
Gesù ha scelto un piccolo gruppo di dodici e con loro ha vissuto un’intensa vita comune, semplice e quotidiana. Mi pare che l’orizzonte del Maestro ci indichi una strada diversa e questa pausa forzata ci può dare l’occasione di qualche ripensamento di fondo. Se non vi sembra calzante il parallelo con il Vangelo (anche perché in fondo il “gruppo giovani” di Gesù è sparito al Getsemani con la stessa rapidità dei nostri ragazzi dopo la Cresima!), pensate a quando ci si trovava a mangiare in un grande gruppo: si parlava solo con i più vicini e per una vera condivisione e un dialogo autentico era preferibile un tavolo da 6-7 partecipanti.
Perché allora non provare a sperimentare un’impostazione diversa? Il mio invito è di ripartire con un gruppo da… dieci (o anche meno) mettendo insieme una singola annata. Ci sarà da individuare una nuova modalità di fare gruppo, si tratterà di affittare per le esperienze estive un appartamento invece di una casa da cinquanta posti, ci sarà da riscoprire il gusto dello stare insieme gratuito e semplice, magari in una cucina o in un salotto piuttosto che in un salone del Patronato. Ci dovrà essere anche la sapienza degli accompagnatori per dosare uno/due momenti di gruppo allargato con altre annate, con altre parrocchie, in Diocesi. Ma soprattutto l’essere in pochi e i posti vuoti dovrebbero far riscoprire a tutti, ragazzi, giovani ed educatori, che ci sono tanti coetanei del proprio anno che non vengono. E che forse potremmo andare a chiamare.