9 maggio: una festa diversa per l’Europa nel segno dell'”I care”

La pandemia ha travolto il vecchio continente. Imponendo anche all'Ue un deciso cambio di passo. Tre eventi nel fine settimana lo confermano: il Social Summit del 7 maggio, il vertice informale dei capi di Stato e di governo dei 27 il giorno successivo e l'inaugurazione della Conferenza sul futuro dell'Europa proprio il 9 maggio, che ricorda la Dichiarazione Schuman, pietra miliare dell'integrazione comunitaria. La quale offre ai cittadini l'opportunità di far sentire la propria voce. E di dare concretezza al motto di don Milani: "I care"

9 maggio: una festa diversa per l’Europa nel segno dell'”I care”

L’Unione europea prova, ancora una volta, a cambiare marcia. La tragedia pandemica rappresenta, tutt’ora, un segnale d’allarme. Il “cambiamento d’epoca” è a tutti evidente e impone profonde revisioni – non solo al vecchio continente, ma al mondo intero – su diversi piani: sanitario, economico, sociale, ecologico, politico-istituzionale. Se fosse stato ancora necessario, il Covid-19 ha confermato che “nessuno si salva da solo” e che i nazionalismi (a partire dai “nazionalismi vaccinali”) sono semplicemente fuori tempo massimo.
A suo modo lo ha ricordato anche Ursula von der Leyen nel suo discorso allo “Stato dell’Unione” del 6 maggio:

la presidente della Commissione ha citato l'”I care” come possibile motto dell’Ue.

Il “mi sta a cuore” del prete-maestro di Barbiana è un altro modo per dire il principio di solidarietà che è il cardine della stessa Europa dei 27. E che dovrebbe informare ogni azione individuale (il farsi prossimo evangelico), ogni comunità, ogni scelta politica.
Dentro questo tornante storico, l’Ue ha peraltro dimostrato ritardi e limiti evidenti, più volte denunciati: ciò dipende in particolare dall’eccessivo peso decisionale dei 27 Stati membri, che dissemina ostacoli nazionalistici (ognuno pensa per sé) nel processo decisionale comunitario, il quale invece era stato improntato dai “padri dell’Europa” proprio attorno al principio di solidarietà.
Nei 12 mesi scorsi, quando si è compreso che la pandemia non avrebbe risparmiato nessuno, si è progressivamente imposta una nuova convinzione: cercare risposte condivise al comune problema sanitario, che nel frattempo stava generando una profonda crisi economica, occupazionale e sociale. Dal maggio 2020 hanno infatti poco per volta preso forma – con un rapporto serrato ed efficace tra le istituzioni di Bruxelles e i 27 Paesi membri – concrete convergenze attorno a più punti essenziali: le regole precauzionali per contrastare i contagi; la ricerca, produzione, distribuzione dei vaccini; il sostegno alle economie nazionali; l’apertura del mercato interno per far giungere farmaci, attrezzature mediche e beni di consumo in ogni angolo dell’Unione; la distribuzione di fondi adeguati per un welfare emergenziale (sostegno alla disoccupazione, cassa integrazione).
Non tutto ha funzionato – né funziona a dovere – ma, ad oggi, nell’opinione pubblica sembra aver fatto breccia l’idea di un’Europa finalmente operativa, in grado di intervenire, operando scelte improntate alla risposta ai bisogni immediati dei cittadini, dei territori, delle imprese…

Il Next Generation Eu, piano da 750 miliardi per fronteggiare la pandemia e i suoi effetti, è l’immagine più evidente di questa “nuova fase” dell’integrazione Ue.

Così, la Festa d’Europa 2021 – tradizionalmente fissata il 9 maggio, a ricordo della Dichiarazione Schuman del 1950, pietra miliare della costruzione europea – assume un significato differente rispetto al passato. E attorno a tale data, nel fine settimana confluiscono tre eventi che vi danno ulteriore rilievo.
Il 7 maggio si svolge a Porto il Social Summit. Il vertice è ospitato dalla presidenza portoghese del Consiglio dell’Unione europea, con l’obiettivo generale di definire l’agenda della politica sociale europea per il prossimo decennio, garantendo di affrontare le sfide del presente e del futuro “senza lasciare indietro nessuno”. Una conferenza di alto livello riunisce gli Stati membri, le istituzioni europee, le parti sociali e la società civile con l’impegno di dare attuazione al Pilastro europeo dei diritti sociali.
I risultati della conferenza saranno trasmessi alla riunione informale dei capi di Stato o di governo che si terrà il giorno successivo, 8 maggio, sempre nella città portoghese. I leader Ue si riuniranno “per discutere di questioni sociali, tra cui quelle connesse alla pandemia di Covid-19”, spiega il sito ufficiale del Consiglio europeo. La discussione tornerà sull’attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali. Il “piano d’azione” presentato in proposito dalla Commissione nel marzo scorso fornisce orientamenti per l’attuazione di tale pilastro nei settori dell’occupazione, delle competenze e della formazione professionale, dell’equilibrio tra lavoro e vita familiare, della protezione sociale, dell’inclusione delle persone disabili, dell’aiuto ai senzatetto, del rapporto tra le generazioni…
Non ultimo,

il 9 maggio, sarà finalmente inaugurata la Conferenza sul futuro dell’Europa

che, ponendo al centro i cittadini, vorrebbe rinnovare le istituzioni Ue e rilanciare il processo di integrazione. In aprile è stata avviata una piattaforma digitale, nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione, che offre a ciascuno la possibilità di iscriversi e prendere parte con le proprie proposte alla stessa Conferenza. Entro un anno la Conferenza – organizzata in diversi panel online, includendo nei dibattiti rappresentanti delle istituzioni comunitarie, dei Paesi aderenti e dei cittadini – dovrebbe giungere a conclusioni e fornire orientamenti sul futuro dell’Unione.
Si tratta di passaggi formali, forse ancora troppo “istituzionali”. Eppure essi dimostrano come l’Europa, provando a far tesoro di quanto accade, cerca strade percorribili per andare incontro alle reali esigenze dei cittadini, che oggi chiedono salute, lavoro, scuola, sicurezza sociale, sostegno alle fragilità. In questo senso l’Ue può rivelarsi un adeguato livello di governance, riacquistando credibilità agli occhi degli europei.

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Fonte: Sir