Autonomie locali, un filo da ritessere
Per l’attuazione del Pnrr, le autonomie locali sono chiamate a svolgere un ruolo decisivo che lo Stato deve promuovere e non penalizzare
Nel giro di un mese il presidente della Repubblica ha incontrato in tre distinte occasioni pubbliche i rappresentanti delle Regioni (a Torino), delle Province (all’Aquila) e dei Comuni (a Genova). Nel caso delle Province per Mattarella si trattava di una prima volta. Queste articolazioni territoriali, infatti, da una decina d’anni sono finite in una sorta di limbo, in seguito alla bocciatura della riforma Renzi che ne aveva decretato l’abolizione. Una “transizione interrotta” con “vuoti e incertezze che non possono prolungarsi, rischiando che cittadini e comunità paghino il prezzo di servizi inadeguati, di competenze incerte, di lacune nelle funzioni di indirizzo e di coordinamento”, come ha detto lo stesso capo dello Stato nel discorso all’assemblea annuale. Le proposte di legge per ridare una precisa identità alle Province e rilanciare il loro ruolo sono già da alcuni mesi all’esame del Parlamento e il discorso del Presidente suona come un incoraggiamento.
Dunque un trittico di interventi per certi versi inedito. Ed è come se Mattarella avesse colto l’occasione dei tre appuntamenti per riannodare i fili del progetto costituzionale delle autonomie nella sua interpretazione più genuina, quella che discende dall’articolo 5 della Carta, laddove si afferma che “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”. “La Costituzione – ha spiegato il Presidente sempre nel discorso dell’Aquila – disegna un’articolazione della Repubblica tra Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni. Non un impianto gerarchico, bensì un governo multi-livello, ispirato ai principi della democrazia e della sussidiarietà. Dove le fondamenta poggiano sull’uguaglianza nelle libertà, nei diritti, nei servizi essenziali, nelle opportunità per i cittadini, qualunque sia il territorio in cui vivono”.
In questo disegno emergono alcuni concetti fondamentali su cui Mattarella ha insistito in tutti e tre gli interventi e che potrebbero essere letti anche in una prospettiva più generale, nel momento in cui la politica decide di mettere mano più o meno direttamente agli assetti costituzionali della Repubblica. Tra tutti spiccano l’impegno per la “coesione sociale” (con un’attenzione speciale per le aree territoriali e le fasce di popolazione più svantaggiate); il rispetto del “pluralismo” (perché “le diversità accrescono il valore del nostro Paese” e la stessa “articolazione istituzionale” dev’essere avvertita come un “valore”); il dovere di una leale “collaborazione” tra le istituzioni a tutti i livelli, fino a quello dell’Unione europea. Un punto, quest’ultimo, sottolineato soprattutto nel discorso al Festival delle Regioni. In questa chiave va letto anche un altro filo conduttore dei tre interventi, il richiamo all’attuazione del Pnrr, in cui le autonomie locali sono chiamate a svolgere un ruolo decisivo che lo Stato deve promuovere e non penalizzare. Gli importi di questo Piano – ha tenuto a sottolineare Mattarella nel discorso all’assemblea annuale dei Comuni – sono “addirittura superiori a quelli del provvidenziale e mitico Piano Marshall nel dopoguerra”. Un modo per esemplificare la portata epocale di questa operazione di cui non tutti sembrano essere pienamente consapevoli. Forse perché essa concentra le risorse finanziarie su obiettivi di sviluppo e non di immediata resa elettorale.