Avere cura con rispetto e delicatezza. La sfida dell’ultimo libro di Vinicio Albanesi

Edito dalla FrancoAngeli, “Welfare umano”, del presidente della Comunità di Capodarco, offre una serie di proposte strutturali, relazionali e sociali, per ritrovare “la dimensione autentica dell’aiuto”. Un vero e proprio Manifesto che difende il valore della vita e le prospettive di benessere e felicità in ogni aspetto dell’esistenza

Avere cura con rispetto e delicatezza. La sfida dell’ultimo libro di Vinicio Albanesi

Stiamo rischiando di tornare indietro nel tempo, a schemi di cura “non proprio adeguati al rispetto integrale delle persone”, verso forme di chiusura che sembravano superate e “i motivi addotti per tale arretramento sono fondamentalmente di natura economica”. Troppo spesso poi, si verificano situazioni di denuncia di violenze psicologiche e fisiche ai danni dei più fragili, da parte di chi ha invece il compito di prendersene cura. La dignità di una persona può essere monetizzata? La cura, per sua stessa definizione, oltre che un complesso di mezzi terapeutici e prescrizioni mediche non è anche quell’atteggiamento, quella propensione al riguardo, all’attenzione, all’accuratezza, alla delicatezza e la premura verso l’altro? E l’individualità che caratterizza la storia di chi ha bisogno di sostegno e accudimento, come va tutelata?

Ad aprile del 2020 in piena emergenza Coronavirus, Vinicio Albanesi (presidente della Comunità di Capodarco) pubblica per la testata Redattore Sociale, “Senza volerlo abbiamo progettato la ‘deportazione’ di chi è vecchio”. È l’inizio di una profonda riflessione sui meccanismi dedicati all'ultimo tratto di vita dei nostri anziani che, scrive: “non possono restare anonimi, meccanici, disumani”. Successivamente, nell’agosto del 2020, ritorna sul tema e per dare forza a una proposta di Riforma, lavora alla pubblicazione di "Anziani deportati", un e-book sulla gestione della terza età e sulla prospettiva, necessaria, di cambiarla radicalmente, superando la tendenza all'istituzionalizzazione e cercando in ogni caso di favorire la permanenza in casa. La grave crisi che ha colpito le Residenze sanitarie assistenziali durante la pandemia offre così lo spunto per ripensare alle scelte fatte. 

Sono questi i passaggi fondamentali che hanno preceduto la nascita dell’ultimo libro “Welfare umano” che Vinicio Albanesi pubblica con la FrancoAngeli. L’occasione è anche il lancio dell’omonima Campagna avvenuto il 24 e 25 giugno 2022 presso la Comunità di Capodarco di Fermo in presenza tra gli altri, del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, di Livia Turco (presidente della Commissione Interventi sociali e Politiche per la non autosufficienza), Marco Bentivogli (Base Italia) e del sociologo Stefano Laffi (Codici Ricerca e Intervento). Appuntamento che approderà nell’evento previsto a Roma il 7 settembre, in cui “Welfare Umano” diventa un vero e proprio Manifesto con una serie di proposte di intervento.

La vita ha una sua dignità dalla nascita alla morte. Tale dignità va tutelata in ogni aspetto dell’esistenza: fisica, psicologica, relazionale, economica, sociale. Senza distinzioni e senza emarginazioni”. E' da questo punto irrinunciabile dell’azione umana che nasce il testo. “Sono stato incerto sul titolo da dare a questa riflessione, perché si sono sovrapposte molte letture, rafforzate dall’esperienza di comunità di accoglienza da oltre quattro decenni”, spiega l’autore che a alla parola “welfare” aggiunge “umano" perché, sottolinea: “le derive degli ultimi tempi, sembrano aver dimenticato la dimensione autentica dell’aiuto da offrire a persone in difficoltà”. Per capire come è stato approcciato l’argomento, il volume propone un’attenta sintesi della storia degli ultimi venti secoli di assistenza, passando in rassegna le diverse forme dell’assistere che, a seconda e in relazione del contesto storico e socioculturale del tempo, hanno assunto modalità diverse. In mezzo, come filo conduttore, i destinatari, che invece non sono mai cambiati: i poveri, i malati, i disabili

Scrive Albanesi: “L’esperienza assistenziale dice che il welfare, negli ultimi anni, se da una parte ha raffinato presenze e competenze, dall’altra ha prodotto storture che hanno influito sulla qualità della risposta sociale. L’orientamento si basa sull’economia di scala: solo grandi numeri di ricoveri permettono un abbassamento dei costi, con un minor prezzo di qualità e di quantità di servizi. Le leggi regionali sono arrivate a stabilire il minutaggio dell’assistenza, senza conoscere i criteri delle suddivisioni. Lo schema è prettamente ospedaliero. Con tale schema sono soppresse tutte le individualità, perché la persona accolta diventa funzionale al sistema e non viceversa”. E ancora: “Alla persona viene garantito lo stretto indispensabile: pulizia, cibo, vigilanza. Non ha più spazi personali sia in termini relazionali (le visite sono gestite secondo gli orari della struttura) che di vivibilità (il posto letto è l’unica garanzia). La vita della persona ospitata deve sottoporsi a modi, tempi, circostanze imposte da terzi. Per chi è in avanti negli anni le prospettive di benessere rischiano di diventare insignificanti”.

Duecento pagine in cui mette a tema come soluzione possibile (non solo culturale), la dimensione comunitaria, quale spazio e tempo e quel “fare comunità” come cura dei dettagli: dall’abitazione al cibo, dalla condivisione alla centralità della persona, dall’incontro alla relazione... Per il presidente della Comunità di Capodarco la relazione rimane lo strumento migliore dell’accoglienza e per lavorare nel sociale la sola preparazione tecnica non basta “perché il rapporto umano diventa determinante nell’offrire assistenza”. “Sposare la causa” è indispensabile, ciò vuol dire "accettare la sfida di accompagnare, con rispetto e delicatezza, chi chiede aiuto”. Questo è un campo in cui la professionalità deve necessariamente essere composta da un mix di competenze, empatia e valori umani. 

Più che un analisi di denuncia “Welfare umano” si propone come una bussola verso una riforma percorribile, nella convinzione che seguire una strada “nuova” sia più confacente alle attese della salute. Cambiare approccio è indispensabile, le norme vigenti sono abbondantissime ma in termini di accoglienza “non sempre logiche e spesso inadeguate”. Il cuore della proposta oltre che strutturale, diviene pertanto relazionale e sociale. Nella sostanza per l’autore si tratta di spostare l’attenzione alla persona accolta piuttosto che all’organizzazione che presta servizi.

Ogni accoglienza è chiamata a rispettare la persona nelle condizioni umane possibili”, nessun individuo smette di sognare e di vivere di aspettative, anche chi si trova ad dover affrontare situazioni gravi in termine di autonomia. Da qui l’impegno ad attivare un’accoglienza che tuteli l’interezza dell’individuo, sempre. 

“I fronti che si prospettano sono molteplici. Occorre impedire prima di tutto la medicalizzazione dell’assistenza. Chi soffre di una malattia progressiva invalidante non può essere trattato come ‘un corpo’ da assistere senza più sogni, speranze, futuro. Rimane intatto l’obiettivo di accogliere e accompagnare le persone verso la vita felice”. Pensare futuro è un dovere, oltre che una necessità, lo dobbiamo ai nostri cari e a noi stessi. E’ in questo “welfare umano” tutta la proposta di cui parla Albanesi.

Sabrina Lupacchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)