Chiesa e Ici. Solo una battaglia ideologica
La Chiesa e l'Ici. La sentenza della Corte di giustizia Ue sulle imposte non versate dagli enti non profit ha riaperto una polemica pretestuosa e strumentale. Eppure la Chiesa ha sempre pagato tutte le tasse dovute. Nel 2011 la nostra diocesi ha versato 660 mila euro di Ici. Hanno pagato perfino le Cucine economiche popolari.
La guerra (non) è finita. Così Avvenire ha titolato il suo editoriale in prima pagina, mercoledì 7 novembre, a firma di Umberto Folena. Tema, la sentenza della Corte di giustizia Ue in merito al recupero dell’Ici non versata dagli enti non profit dal 2006 al 2011, quando l’imposta è stata sostituita dall’Imu. Quale guerra? Non quella dell’Europa né dei suoi giudici, chiariamolo subito. Bensì quella che una parte del mondo radical-chic conduce con ostinata tenacia nei confronti della Chiesa, trovando chissà perché generosa accoglienza da parte di tutti i quotidiani e telegiornali. Ma andiamo con ordine, per non cadere nello stesso errore: prima i fatti, poi le opinioni. In mezzo, il racconto che dei fatti è stato dato. Alla fine, se avete pazienza, qualche numero illuminante.
I fatti
L’Ici arriva in Italia nel 1992. La tassa sul patrimonio immobiliare “salva” però tutta una serie di realtà: l’articolo 7 decreta che gli immobili destinati dagli enti non commerciali (e gli enti ecclesiastici sono per legge “non commerciali”) allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive (come per esempio gli asili, o un museo), siano esentati dal pagamento dell’Ici. L’esenzione si applica anche se le attività di cui sopra assumono natura commerciale, cioè con richiesta di un corrispettivo a fronte del servizio erogato. Se invece una parrocchia possiede un ristorante, o affitta i suoi locali, paga regolarmente l’Ici.
Nel 2006 arrivano alla Commissione Europea le prime denunce, promosse dal partito radicale, sulla base di una presunta concorrenza sleale. Sei anni dopo, nel 2012, la Commissione europea dichiara illegittime alcune delle agevolazioni concesse. Nello specifico, dichiara che anche gli enti non profit avrebbero dovuto pagare l’Ici sui locali in cui venivano svolte attività economiche, anche se non a scopo di lucro.
Al contempo, “promuove” le agevolazioni introdotte con l’Imu e riconosce l’impossibilità per l’Italia di recuperare quanto eventualmente dovuto per il passato. Proprio quest’ultimo punto è stato ora annullato dalla Corte di giustizia Ue, secondo cui il nostro Paese avrebbe potuto e dovuto – anche in mancanza di dati catastali e fiscali certi – trovare modalità alternative per riscuotere almeno parte delle imposte.
Il racconto
Nella nuova società “sempre connessa”, non c’è tempo per riflettere e forse nemmeno per leggersi una sentenza. E allora ecco che anche le agenzie di stampa – quelle che per mestiere dovrebbero offrire informazioni asettiche e verificate – partono a spron battuto e si inseguono nell’annunciare che la Corte europea ha imposto all’Italia di recuperare l’Ici non versata dalla Chiesa. Dove lo avranno mai letto, visto che nella sentenza mai viene citata la Chiesa? Mistero, che i colleghi dei siti internet di tutti i principali quotidiani italiani non si premurano di investigare, limitandosi a ripetere in coro la stessa litania al pari di giornali radio e telegiornali.
Così, alla fine della giornata, per milioni di italiani la notizia del giorno è che la Chiesa non ha pagato l’Ici ma che adesso, grazie ai giudici europei, risarcirà il maltolto. Dove i dati di fatto scomparsi dal racconto mediatico sono almeno due, e fondamentali. Il primo è che non di Chiesa si sta parlando ma di tutto il mondo del non profit, quale che sia la sua origine: migliaia e migliaia di associazioni, circoli, enti del terzo settore, bocciofile e chi più che ha più ne metta, all’interno dei cui locali si è svolta una qualche attività economica, per quanto marginale e senza che nessuno ne abbia tratto profitto. La seconda, è che non di evasione si tratta ma di una esenzione giudicata illegittima: chi non ha dichiarato gli immobili lo ha fatto, in altre parole, seguendo alla lettera la legge e magari anche col supporto di un regolamento comunale.
Ma non ha importanza, un buon titolo ad effetto non consente troppe sfumature; prendersela col circolo anziani non paga in termini mediatici; i cavilli giuridici annoiano. Vuoi mettere, invece, gridare ai quattro venti che la Chiesa non paga l’Ici?
Le opinioni
Non siamo così ingenui da pensare che alla base di tutto ci siano solo improvvisazione e pressapochismo: dei giornalisti e dei politici che hanno ben pensato di aggiungere la loro voce al coro. C’è di più, e per questo parlare di “guerra” non è fuori luogo. C’è un pregiudizio ideologico che si nutre da un lato di anticlericalismo e dall’altro di un inveterato statalismo, in una commistione perversa. C’è l’idea che la Chiesa, se apre una scuola, se gestisce una casa di riposo, una casa per ferie, perfino una mensa per i poveri, lo fa in nome del suo interesse privato: a catechizzare, o magari a influenzare la vita civile e politica di una comunità. Dunque, che paghi come qualsiasi privato, se ne è capace. Altrimenti si tolga dai piedi.
E c’è l’idea che pubblico e statale siano sinonimi, che sia lo stato-istituzione l’unico deputato a prendersi cura del bene comune e dei bisogni dei cittadini, con risposte uniformi e calate dall’alto. Fuori da questo recinto, vive una società fatta solo di interessi individuali, di aziende in competizione, di business.
E quella società civile di cui poi tutti si riempiono la bocca? E il volontariato? E il Terzo settore, il non profit, insomma – chiamatelo come volete – tutto quel mondo che oggi si fa carico di grandi bisogni sociali, con generosità non disgiunta dalla professionalità? Davvero può essere considerato alla stregua di un’azienda? Perché è di questo, alla fine, che si sta oggi parlando: della pretesa di applicare la medesima legge a soggetti intrinsecamente diversi tra loro, alla casa per ferie che chiede un contributo economico al gruppo famiglie della parrocchia come all’albergo con sauna e area fitness. Ma fare parti eguali tra diseguali non è mai una misura di giustizia.
I numeri
Questa, in ogni caso, è pur sempre un’opinione. Discutibile e confutabile. I numeri, per loro natura, hanno ben altra solidità. E allora, andando a spulciare il nostro archivio, torniamo con la memoria al 2011 e a un’altra puntata della telenovela “Chiesa&Ici”.
Tracciare il quadro complessivo di una diocesi grande e complessa come quella di Padova non è impresa facile, ma ci si può arrivare molto vicini. Sette anni fa abbiamo provato a farlo prendendo in considerazione i quattro soggetti che detengono la gran parte degli immobili e dei terreni di proprietà della chiesa padovana (Diocesi, Seminario, Mad e Istituto per il sostentamento del clero), e aggiungendo le 360 parrocchie (su 459) che all’epoca si servivano dello stesso studio di commercialisti per le loro dichiarazioni dei redditi. Sommando queste cinque grandi voci, ecco una cifra che lascia poco spazio alle insinuazioni: nel 2011 l’Ici dovuta e versata è stata pari a 660 mila euro e spiccioli. Non esattamente briciole. Sembra un paradosso, ma l’Ici la pagavano anche le Cucine economiche popolari, e nemmeno poco: per l’esattezza 9.046 euro, in quanto non essendo proprietarie dell’immobile, la norma non prevedeva esenzioni.
Per chi volesse approfondire, ripubblichiamo in questi giorni sul nostro sito internet le pagine di allora in pdf. E a chi si sta domandando quanto, alla fin fine, lo Stato potrebbe oggi recuperare, offriamo un ultimo dato. Non sono i 5 miliardi di euro fantasiosamente spuntati nel dibattito mediatico, spingendo perfino qualche sprovveduto parlamentare a esultare per aver trovato i finanziamenti necessari al reddito di cittadinanza. Potrebbe trattarsi, secondo i calcoli fatti qualche anno fa dal gruppo di lavoro sull’erosione fiscale del Ministero del Tesoro, di circa 100 milioni l’anno considerando l’intero non profit italiano.
Forse, per veder entrare qualcosa, lo Stato oggi dovrebbe spendere dieci volte tanto. Forse, alla fine, non succederà niente. Tanto il risultato chi ha promosso i ricorsi lo ha già ottenuto: un po’ di grancassa sui media e la “Chiesa ladrona” alla berlina. La guerra – ha ragione Avvenire – non è finita. Perché noi non ci arrendiamo a questa falsa lettura ideologica della realtà.