Codice rosso, tra perplessità e punti di forza: un bilancio

Una legge nata per accelerare gli interventi della polizia giudiziaria e dei pubblici ministeri per la tutela delle donne vittime di violenza. Marzia Aliatis (sostituto procuratore presso il Tribunale di Brescia): “È un buon inizio, ma tutto è perfettibile. Investire anche nelle strutture di accoglienza sul territorio”

Codice rosso, tra perplessità e punti di forza: un bilancio

BRESCIA – Si intitola “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”: è la legge n. 69 del 19 luglio 2019, meglio nota come “Codice rosso ”, come l’hanno sempre definita i suoi fautori – Alfonso Bonafede e Giulia Bongiorno – per mettere l’accento sull’urgenza con cui i procedimenti di questo tipo a tutela delle vittime debbano essere gestiti. In pratica, il Codice Rosso nasce per imporre un’accelerazione degli interventi sia della polizia giudiziaria, sia dei pubblici ministeri. Una legge che, sin dalla gestazione, ha fatto discutere la magistratura: c’è chi in essa vede un deciso passo in avanti per la tutela delle donne vittime di violenza e chi, pur apprezzando l’intenzione, sottolinea le difficoltà pratiche di quanto previsto da alcuni articoli.

Trascorsi i primi due mesi, la fase di rodaggio – naturalmente – ancora non è conclusa, ma è già possibile avanzare una prima analisi. “È un buon inizio, ma tutto è perfettibile – afferma Marzia Aliatis, sostituto procuratore presso il Tribunale di Brescia –. La legge 69/19 ha dei punti di forza e altri di debolezza. Innanzitutto, va ricordato che questa legge è entrata in vigore ad agosto, creando alle Procure non pochi problemi sul piano pratico. D’estate, gli uffici sono in difficoltà per carenza di personale. Premesso questo, va anche detto che è una legge importante perché, nonostante non abbia di fatto stravolto il lavoro degli uffici in questa materia, ha posto l’attenzione su alcuni aspetti ben precisi”.

Partiamo dai punti dolenti. Uno dei passaggi che ha fatto più discutere in questi mesi è l’art. 2: “Il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato”: 3 giorni, una tempistica da molti definita “impossibile”. Ne è un esempio Milano dove, come ha dichiarato Francesco Greco, capo della Procura del capoluogo lombardo, dopo l’approvazione della legge arrivano 30 allarmi al giorno contro i 15 del 2018: “Sentire entro tre giorni la parte offesa o chi ha fatto la denuncia è un lavoro enorme – ha dichiarato al Corriere della Sera – che ci impedisce di estrapolare i casi più gravi”. Aliatis concorda nell’impossibilità pratica di rispettare i tempi: “Il numero di notifiche di reati a cui si applica questa legge è enorme, la sfida più grande è individuare le situazioni più gravi”. Come si ovvia, allora, a questa “impossibilità pratica”? “Dando un’interpretazione sostanziale della legge per non tradirne la ratio, senza farsi sopraffare dal dato formalistico e prestando la massima attenzione alla valutazione e all’interpretazione del caso concreto”. La Procura di Brescia ha stilato delle specifiche linee guida alla polizia giudiziaria per assicurare un intervento immediato e congiunto: “Ogni denuncia arriva sul tavolo del sostituto procuratore assegnatario o il giorno stesso o al massimo il giorno dopo”.

Aliatis mette l’accento anche su un altro aspetto solo in parte coltivato dalla legge (art. 5): la specializzazione della polizia giudiziaria. Per i magistrati, infatti, esiste una specializzazione. In linea di massima, tutte le procure medio-grandi hanno un dipartimento specifico per questa tipologia di reati – dal maltrattamento in famiglia agli atti persecutori, dalle violenze sessuali agli atti sessuali con minori, passando per le lesioni personali in ambito familiare: per esempio, la Procura di Brescia ha il Dipartimento soggetti deboli, a cui afferisce/ di cui fa parte anche Aliatis. Questa specializzazione, al contrario, non è prevista per le forze dell’ordine: “A mio avviso è questa la criticità principale: la sinergia tra polizia giudiziaria e magistratura è imprescindibile. Esistono Sezioni dedicate in seno ai Comandi Provinciali dei Carabinieri ed alle Squadre Mobili  delle Questure  per la Polizia di Stato, ma è insufficiente. Nella maggior parte dei casi, infatti, le indagini sono delegate a piccole stazioni locali, dove il personale non è adeguatamente formato. Una denuncia per maltrattamenti, per esempio, raccolta in modo completo ed esaustivo è un grande vantaggio per le successive attività investigative. Raccogliere adeguatamente una denuncia, inoltre, evita anche la vittimizzazione secondaria, che noi tutti vogliamo evitare”.

Il terzo punto critico è rappresentato dall’articolo 387 bis del codice penale, introdotto dal Codice rosso che punisce con una pena dai 6 mesi a 3 anni chiunque violi il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (due misure cautelari non custodiali). Prima del Codice Rosso questa trasgressione non era punita ex se, ma con l’entrata in vigore della legge 69 non è cambiato, di fatto, nulla. Perché una pena non superiore ai 3 anni impedisce, di fatto, l’arresto anche se in flagranza di reato. “Penalizzare in modo autonomo la violazione di queste misure è un buon segno ma, così com’è la misura è pressoché inutile. Se il legislatore avesse inserito anche la possibilità di arresto immediato – come è previsto, per esempio, per chi viola i domiciliari –, allora sì che sarebbe stato veramente efficace. Certo, è un altro titolo di reato, ma nell’immediatezza non ci sono effetti tangibili”.

Tra i punti di forza del Codice rosso, invece, Aliatis individua le pene aggravate per i maltrattamenti in famiglia e gli atti persecutori (di fatto, l’aumento delle pene implica anche il raddoppio dei termini delle misure cautelari, previsione particolarmente apprezzata dai magistrati) e l’individuazione di reati specifici, “come il reato di revenge porn , condotta estremamente diffusa tra i giovani adulti; il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; il reato di costrizione o induzione al matrimonio. Intendiamoci: queste condotte venivano punite anche prima, ma con percorsi più articolati: ora hanno uno spazio autonomo”.

L’articolo 21 del Codice rosso riporta la clausola di invariazione finanziaria: “Le amministrazioni interessate  provvedono ai relativi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Una scelta che, se sommata alle numerose chiusure dei centri antiviolenza e alla pianta organica dei magistrati che vede una carenza di 2 mila unità, sottolinea la difficoltà del contesto in cui ci si trova a lavorare: “La rete di centri antiviolenza e case rifugio è imprescindibile: va assolutamente potenziata – afferma Aliatis –. In territorio bresciano la copertura è capillare, ma la situazione in Italia non è omogenea”.

Come ha dichiarato all’Ansa pochi giorni fa Gian Ettore Gassani, presidente di Ami, l’associazione dei matrimonialisti italiani, “da quando è stato varato il Codice rosso, le donne continuano a essere uccise: in media una ogni due giorni”. “Conviviamo quotidianamente con il peso delle nostre responsabilità. È duro accettare di essere impotenti di fronte a comportamenti e dinamiche imponderabili, che trascendono la nostra possibilità d’intervento”. Come si reagisce? “Competenza e conoscenza sono fondamentali, ma lo è ancora di più l’esperienza. Con il tempo, la percezione cambia e anche l’approccio: purtroppo, le situazioni più gravi spesso si annidano in fascicoli all’apparenza scarni. Segnalazioni degli ospedali o dei servizi sociali, fonti esterne: passaggi delicati, perché significa che la vittima ancora non ha avuto il coraggio di denunciare. Posso dire, però, che negli ultimi tempi sto assistendo a una maggior consapevolezza da parte delle donne: hanno più fiducia? Maggiore conoscenza? Le reti funzionano meglio? Forse un po’ di tutto questo. Sono segnali positivi su cui investire, assicurando un’attenzione costante e quotidiana. Questo settore fa parlare di sé solo quando degenera, ed è sbagliato. Noi lavoriamo per mantenere sempre alto il livello di allerta”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)