Coronavirus. La liquidità anti-recessione non bagna gli ultimi

Non hanno conto corrente in Italia circa 15 milioni considerando nativi e nuovi cittadini (1,7 miliardi di non bancarizzati nel mondo), probabilmente vivono con un utilizzo di contante alla mano. Non sanno come beneficiare dei decreti d’emergenza. Difficile immaginare che in queste ore si sentano coinvolti dalla superliquidità messa in circolo dalle banche centrali tramite gli istituti di credito. Il superbazooka della Bce (Banca centrale europea) per 750 miliardi o l’Helicopter money Usa della Fed (Federal Reserve) sono termini incomprensibili e lontani. L’oggi è sopravvivere

Coronavirus. La liquidità anti-recessione non bagna gli ultimi

“Poiché le principali economie sono essenzialmente chiuse per un periodo ignoto per controllare la diffusione del Covid-19, precise previsioni non sono realistiche” ammettono onestamente gli analisti di Ubs (Unione Banche Svizzere). Molti economisti e centri studi, pur dotati delle migliori professionalità, informazioni e capacità di calcolo, faticano a capire cosa accadrà.

La crisi in corso, che è umanitaria prima che economica, non ha precedenti per rapidità e globalità.

Il virus non è conosciuto, non si riesce a intervenire se non con un generalizzato “tutti fermi in casa”. La caduta economica che si sta manifestando è comunque, con difficoltà, più interpretabile. Forse anche gestibile come stanno assicurando Governi, Banche centrali e organismi sovranazionali.
La storia ha prodotto improvvise crisi economiche, recessioni, crolli di Borsa. Ognuna diversa dall’altra con qualche tratto comune: anche nella Grande Crisi di Wall Street nell’ottobre 1929, partita dagli Usa e piombata in Europa, c’erano componenti finanziarie (listini di Borsa sovraeccitati con prestiti bancari a sostenerlo) e industriali (gli eccessi della nascente industria pesante che non trovava sbocchi). Il tracollo passò dalla Borsa, alle banche, all’industria e i suoi lavoratori, alla media borghesia e al commercio, con i poveri allo stremo. La disoccupazione arrivò al 25%. Finita una Guerra mondiale dieci anni prima ne iniziò un’altra, tremenda, dieci anni dopo.
Meglio la seconda parte del Novecento anche se ancora in ottobre, nel 1987, la Borsa mandò uno scossone forte poi recuperato. Più grave il tracollo 2007-2008 dei mutui subprime (eccesso di mutui concessi a chi non avrebbe mai potuto ripagarli, per fare ricavi immediati ai finanziatori) e il fallimento della banca americana Lehman Brothers che non resse alle progressive inadempienze.

Ma quando sono finite veramente quelle crisi? Quando finirà questa? Modelli matematici non ci sono e l’auspicato fine allarme non potrà essere il ritorno delle Borse ai livelli precedenti. I mercati finanziari sono la scintilla che può far esplodere ma non sono l’economia vera.

Meglio guardare l’occupazione, la produzione industriale, gli investimenti, gli ordini acquisiti e da lavorare.
Il rischio di ogni recessione, e per definirla tale occorreranno due trimestri di Pil (Prodotto interno lordo) negativo, è che renda i precari più precari e i poveri più poveri. A settembre capiremo se la recessione sarà globale, l’ultima è stata nel 2001 innescata dall’eccesso di valutazione di Borsa dei titoli internet.
Non hanno conto corrente in Italia circa 15 milioni considerando nativi e nuovi cittadini (1,7 miliardi di non bancarizzati nel mondo), probabilmente vivono con un utilizzo di contante alla mano. Non sanno come beneficiare dei decreti d’emergenza. Difficile immaginare che in queste ore si sentano coinvolti dalla superliquidità messa in circolo dalle banche centrali tramite gli istituti di credito. Il superbazooka della Bce (Banca centrale europea) per 750 miliardi o l’Helicopter money Usa della Fed (Federal Reserve) sono termini incomprensibili e lontani. L’oggi è sopravvivere.

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Fonte: Sir