Covid-19 e il potere delle multinazionali. I problemi etici dietro ai vaccini

«La magia sta cominciando». Quel tweet del ricercatore dell’istituto Weizmann di Gerusalemme, martedì scorso (2 febbraio) ha fatto tirare un sospiro di sollievo a gran parte del pianeta. Scienziati, politici, ma soprattutto i cittadini hanno così appreso come i vaccini (almeno lo pfizer BioNTech) stiano facendo il loro “lavoro” contro Sars-Cov-2. 

Covid-19 e il potere delle multinazionali. I problemi etici dietro ai vaccini

I dati che arrivano da Israele sono oggettivamente fondamentali: sono più di tre milioni (su 9,2) i cittadini che hanno ricevuto la prima dose di siero e 1,8 quelli a cui è stata inoculata anche la seconda.

A quaranta giorni dall’inizio della campagna vaccinale si misura un calo del 35 per cento di nuovi contagiati da Covid-19, meno 30 per cento di ricoveri, un quinto in meno di malati gravi.

E che tutto questo stia accadendo proprio in Israele, come sappiamo, non è un caso. A fine gennaio sono filtrate notizie secondo cui il premier Benjamin Netanyahu non abbia badato a spese per garantire al suo Paese forniture pressoché illimitate del prezioso vaccino che in Europa scarseggia, con tanto di minacce legali tra Commissione, Governi e multinazionali del farmaco. Ma il vero prezzo per le bramate fialette non si misurerebbe in shekel, bensì in dati. Pare che il ministero della Sanità israeliano abbia garantito la condivisione di tutti i dati possibili per ogni cittadino vaccinato (fino al braccio su cui è stata eseguita la puntura).

Vaccini in cambio di dati
vaccino-4

«Il fatto che Israele paghi i vaccini con i dati, conferma a renderli un bene materiale entrato oramai in molte filiere: sono il petrolio di oggi» commenta il prof. Antonio Autiero, teologo morale, docente emerito all’Università di Münster, in Germania, e presidente del comitato scientifico della Fondazione Lanza. Il diritto alla salute in cambio dei dati personali, sanitari, insomma della rinuncia a un pezzo della propria sfera privata.

Questo esempio, sommato proprio a quello dei ritardi imposti dai Big Pharma (le aziende farmaceutiche) ai piani vaccinali di molti stati fa capire in modo assai concreto il reale potere delle multinazionali sulla vita quotidiana di ognuno di noi. «La pandemia si sta rivelando una cartina di tornasole molto utile in questo senso – prosegue Autiero – che non risparmiano nemmeno la sfera economica. Basti pensare a quanti miliardi di dollari i singoli stati abbiano investito per sostenere la ricerca del vaccino, condotta fino a qui da poche grandi aziende. D’altro canto, già nei decenni scorsi si parlava dei disturbi dell’economia della globalizzazione. Ci sono dinamiche che facevano confluire l’arricchimento in capo ad agenzie o multinazionali a scapito di un equilibrio nella distribuzione mondiale dei beni». Ma non mancano nemmeno i fattori positivi. Google ha recentemente messo a disposizione i dati raccolti tramite i dispositivi che montano il proprio sistema operativo Android per studiare la diffusione del contagio. «Un passaggio importante, specie se pensiamo che in gran parte del mondo il sistema di tracciamento dei casi di Covid-19 è completamente saltato. E l’Italia purtroppo non fa eccezione».

I tempi li dettano i Big Pharma

Tornando ai vaccini, nelle ultime settimane le tre multinazionali i cui vaccini sono stati autorizzati dagli organismi di controllo (Fda negli Usa ed Ema in Europa) hanno annunciato ritardi. Di fatto i piani di profilassi sono saltati in gran parte dei Paesi. E ad aggravare la situazione c’è la decisione delle autorità di tener segreti i contratti siglati con Pfizer, Moderna e AstraZeneca. «Il primo ambito difettoso è sulla catena di produzione – riflette Autiero – Si pone da più parti il tema se non sia il caso di limitare la durata dei brevetti e liberalizzare i vaccini e consentire a più imprese di produrre. Una produzione in sede locale potrebbe risolvere e liberare rispetto all’impasse. La questione è particolarmente sensibile per le nazioni più povere: prima si verificherà l’immunità di gregge e prima si tornerà a produrre.

Obbligo vaccinale? Chi vaccinare prima?

Ma esiste anche un versante molto più concreto e personale della vicenda. Le questioni etiche sollevate dalla distribuzione a tempi di record dei vaccini sfiorano anche il grande tema della libertà di cura. Ci si chiede: di fronte a un emergenza come non si verificava da un secolo, non sarebbe il caso di obbligare alla vaccinazione? Il teologo morale distingue: «In un tempo complesso anche dal punto di vista della relazione istituzioni-cittadini un obbligo generale potrebbe minare la pace sociale. Meglio rimandare alla presunta maturità civile di cittadini liberi e autonomi. Si può tuttavia impostare un ragionamento in base a diverse categorie di persone: la specificità dei sanitari è evidente, la loro chiamata ad assistere i malati potrebbe renderli vettori di infezione. Nel loro caso il discorso è differente».

La pandemia in atto ha fatto del vaccino un bene finito di cui esiste una domanda pressoché illimitata. «E questo ha scatenato il tema di chi abbia diritto ad avere le prime dosi: tutte le organizzazioni sanitarie nazionali e internazionali sono d’accordo nel dare la precedenza ai soggetti fragili e il fatto che non sia il ceto o la capacità economica dei singoli a guidare la scelta rimane un fatto assai positivo che va sottolineato. E per venire incontro alle fragilità, lo stato provvede affinché le categorie professionali più legate a chi ha bisogno di assistenza vengano prima nella scala delle priorità. I criteri di equità e giustizia e rispetto della dignità sono sempre contestualizzati con il vissuto reale dei soggetti: la dignità è pari ma diversa è l’urgenza».

Ma ci sono anche gli scettici

A marzo nessuno avrebbe potuto immaginare che entro il 2020 più vaccini sarebbero già stati in distribuzione per battere il Covid. Questa accelerazione ha suscitato sentimenti di ammirazione, ma anche di scetticismo nella popolazione. I casi di cittadini, politici e sanitari che rifiutano il vaccino non mancano di certo. Per il prof. Autiero il “miracolo” è frutto di maggior tecnologia e del perfezionamento dei modelli di verifica e controllo. «Ritengo lo scetticismo frutto di una posizione pretestuosa. Viviamo in una società del sapere e finalmente se ne vedono i risultati».

Dosi e fiale, così la situazione a oggi

Il russo Sputnik V efficace al 91,6 per cento
vaccino-3

La prestigiosa rivista scientifica Lancet certifica che il vaccino russo Gam-cofvid-Vac, detto anche Sputnik V, è efficace in oltre il 91 per cento dei casi. È solo l’ultima della notizie giunte al momento di andare in stampa (martedì 2 febbraio) sul fronte della lotta al Coronavirus. Nel corso dell’ultimo mese sono sono stati tre i vaccini autorizzati, quelli a Rna messaggero di Pfizer-BioNTech e di Moderna, il primo in uso in 46 Paesi nel mondo e il secondo in 13. Il siero di Oxford/astraZeneca invece utilizza un virus innocuo per trasportare lo stesso materiale genetico all’interno dell’organismo, è stato approvato dall’Ema il 29 gennaio e può essere conservato in un normale frigorifero. Molto simile a questo è il vaccino Jansen (Johnsson & Johnson) ma va somministrato in una sola dose, mentre Novavax utilizza un approccio tradizionale che combina proteine del virus e sostanze chimiche che attivano il sistema sanitario. Tre sono i vaccini cinesi: Sinovac (usato anche in Brasile, Turchia e Indonesia), CanSino e Sinopharm (in uso anche in altri cinque Paesi). Le varianti del virus rimangono un’incognità.

La situazione in Veneto dopo un mese di vaccinazioni

In Veneto nel primo mese dall’inizio della campagna vaccinale anti Covid-19 (27 dicembre-27 gennaio) sono state iniettate in tutto 145.619 dosi, vaccinando così l’11,6 per cento del totale in Italia. Il numero più alto è stato effettuato nell’Ulss 6 Euganea ( 22.123), mentre lo Iov ha praticato 646 iniezioni. Rispetto all’obiettivo della prima fase, in cui la precedenza spetta a sanitari e anziani delle Rsa, l’Azienda ospedaliera di Verona ha raggiunto il 62 per cento delle vaccinazioni da praticare, mentre tutte le altre aziende sanitarie sono sotto il 50 per cento, con la sola Ulss 3 a sfiorarlo con il 49,3 per cento. In Veneto al momento sono state inoculate pressoché solo vaccinazioni con il siero distribuito da Pfizer-BioNTech, la percentuale di Moderna risulta residuale. La fascia d’età con più somministrazioni è quella 50-59 anni con il 27,6 per cento. A seguire i 40-49enni.

L’attesa e i dubbi sugli anticorpi monoclonali

Ritenuti strategici per il trattamento dei pazienti non ospedalizzati e quindi colpiti in maniera meno grave da Covid-19, gli anticorpi monoclonali potrebbero essere autorizzati per l’utilizzo in Italia dall’Aifa proprio in questi giorni. Si tratta di farmaci già in uso nella lotta contro il cancro che negli ultimi anni hanno conosciuto applicazioni anche contro malattie infettive come l’Ebola. Si ottengono estraendo dal sangue di pazienti convalescenti o guariti le cellule B in grado di produrre anticorpi che poi vengono clonati. Servono quindi a fornire anticorpi pronti a entrare in azione anche a chi è già malato. Il presidente di Aifa, Giorgio Palù, li ritiene «un’arma potentissima, un salvavita», necessari soprattutto di fronte alla carenza di vaccini. In Italia sono al lavoro un laboratorio nato a Siena dalla Fondazione Toscana Life Sciences e lo Spallanzani: i primi risultati tra aprile e maggio.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)