Da Atene a Londra, passando per Roma: Europa politica in fibrillazione

Le elezioni europee, e alcune tornate amministrative e legislative, segnano il panorama continentale. Vienna e Bucarest sono scosse dagli scandali, Londra è nel caos e non si vede il punto di arrivo di un Brexit "regolato". E mentre la Spagna marcia verso sinistra, Polonia e Grecia tirano verso destra. In mezzo l'Italia, con il premier Conte che dà l'ultimatum ai partiti di governo

Da Atene a Londra, passando per Roma: Europa politica in fibrillazione

Elezioni europee… con ricadute nazionali. Mentre l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media continentali si concentrava, giustamente, nei mesi scorsi sulla tornata per il rinnovo dell’Euroassemblea (23-26 maggio), parlamenti e governi nazionali entravano in fibrillazione: in qualche caso per elezioni legislative (ad esempio in Spagna, 28 aprile), in altri per turbolenze politiche interne; su tutti Regno Unito (Brexit) e Austria (scandalo che ha travolto il vicepremier Strache). Così a 10 giorni dal voto per Strasburgo, il quadro nei Paesi Ue è in movimento, la “stabilità” tanto invocata resta una chimera, e questa situazione va a pesare sulle trattative in corso a livello europeo tra i Ventotto per dipanare la matassa dei “top job” (presidenti di Parlamento, Commissione, Consiglio europeo, Banca centrale di Francoforte, e Alto rappresentante) e la composizione del collegio dei commissari.

Il 5 giugno la Danimarca torna alle urne per le elezioni legislative. Il governo del premier uscente, Lars Løkke Rasmussen, che guida una coalizione di centrodestra, nei sondaggi è dato perdente. A differenza di altri Stati, qui la socialdemocrazia regge, anzi è data in recupero. Ai seggi sarà chiamata anche la Grecia, il 7 luglio: le europee hanno portato cattive notizie al premier Alexis Tsipras, con l’avanzata del principale partito di opposizione, Nea Demokratia, confermatosi vincitore pure al secondo turno delle amministrative, il 2 giugno. Le legislative, anticipate, potrebbero segnare il passaggio di testimone al governo di Atene.

Nel frattempo in Austria si è insediato il governo tecnico della cancelliera Brigitte Bierlein: rimarrà in carica fino alle elezioni anticipate che si terranno a settembre. Nel frattempo l’ex premier popolare Sebatian Kurz prepara un nuovo successo per tornare – almeno lui spera – timoniere a Vienna. Altro quadro in Spagna: il socialista Pedro Sanchez aveva vinto le elezioni politiche ad aprile, e a maggio ha confermato l’ottimo stato di salute del suo partito socialista. Ma trovare una soluzione per governare a Madrid non è semplice, data la consistenza degli altri principali partiti – popolari, ciudadanos e podemos – e la rilevanza politica delle forze minori e regionali, a partire da quelle catalane.

In Francia il presidente Emmanuel Macron fa i conti con il successo europeo del Rassemblement di Marine Le Pen e l’ormai irrilevante presenza di repubblicani e socialisti, mentre lo stato di salute dei verdi è evidente. Ciò vale anche in Germania, dove i Grünen non solo hanno tallonato la Cdu della cancelliera Merkel alle europee, ma sono tuttora dati in crescita nei sondaggi. Invece la crisi dei socialdemocratici tedeschi è sotto gli occhi di tutti e dopo il modestissimo esito del 26 maggio si è dimessa la leader Spd Andrea Nahles: una brutta notizia per la Grosse koalition che regge le sorti a Berlino.

Tra fine maggio e primi giorni di giugno in altri Paesi sono arrivati al pettine tanti nodi politici. Tutt’altro che tranquilla si può definire, ad esempio, la situazione in Romania, presidente di turno Ue, dopo la sconfitta alle europee del partito socialdemocratico al governo, e l’arresto per corruzione del presidente dello stesso partito, Liviu Dragnea. I Paesi Bassi registrano la vittoria socialdemocratica, trainata dal vicepresidente della Commissione Frans Timmermans; in Polonia regge il governo euroscettico guidato da Diritto e giustizia, mentre l’opposizione europeista e moderata si va rafforzando; sussulti – per ragioni differenti – si registrano anche in Scandinavia, nei Paesi baltici, in Slovenia e Croazia, mentre il dominio del premier dell’Ungheria Viktor Orban appare incontrastato.

Ci sono, non ultimi, i due casi aperti – secondo l’opinione prevalente nelle sedi europee – di Londra e Roma. Il Regno Unito è politicamente nel caos: il 7 giugno, dopo la visita del presidente americano Trump (che in questi giorni appare come un elefante nella cristalleria britannica), la premier Theresa May lascerà l’incarico. La partita si giocherà, sul filo dell’irrisolto Brexit, tra conservatori, puniti alle europee, laburisti, tutt’altro che rafforzati, liberali europeisti in ottimo stato di salute, e la vera stella della politica inglese, il brexiteer per eccellenza Nigel Farage. E poi c’è l’Italia: il 5 giugno arriva il verdetto della Commissione sui conti pubblici tricolori, dopo che, il 3 giugno, Giuseppe Conte ha chiesto ai partiti della maggioranza giallo-verde di chiarire se intendono proseguire seriamente l’esperienza di governo: altrimenti il premier potrebbe rassegnare le dimissioni.

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Fonte: Sir