Ddl Zan. Chi vorrebbe migliorare il testo è visto come omofobo, insensibile al tema sociale e ostruzionista

Una percezione distorta in un clima non sereno. Oltre la nota verbale, oltre la miopia che fa gridare all’”ingerenza”, è possibile leggere il ddl Zan con l’obiettivo di migliorare il testo, di mostrarne le criticità, senza intenzioni di odio o disprezzo verso il mondo Lgbtq+

Ddl Zan. Chi vorrebbe migliorare il testo è visto come omofobo, insensibile al tema sociale e ostruzionista

La questione del disegno di legge Zan è stata in questi mesi polarizzata: da una parte – polo positivo – coloro che vogliono approvare la legge subito così com’è, e perciò questi sono contro l’omotransbifobia, sentono l’urgenza di questa legge, si battono per i diritti di tutti; dall’altra parte – polo negativo – tutti gli altri diversi dai primi. Coloro che vorrebbero migliorare questa legge sono percepiti, in questo clima, come omofobi, insensibili alla questione sociale, ostruzionisti. Una percezione, appunto, distorta. Il ddl si è trasformato così in uno strumento per battaglie tra partiti politici, per ricatti e per processi alle intenzioni. Sarebbe importante far capire che coloro che hanno a cuore il testo della legge e vedono migliorie da fare, anche questi fanno parte del polo positivo e cioè sono contro l’omotransbifobia, sentono l’urgenza di questa legge e si battono per i diritti di tutti. La rabbia non aiuta in questo.

Nella polarizzazione politica e giornalistica di queste settimane spesso i cattolici sono stati etichettati sul versante negativo. L’obiettivo di combattere la violenza e l’ingiusta discriminazione verso ogni persona e di sensibilizzare ed educare le generazioni future al rispetto, all’accoglienza, all’ospitalità di tutti, è un obiettivo che non ha schieramenti politici, non deve avere polarizzazioni, riguarda ogni cittadino. E la Chiesa sente nel suo Dna questa missione. È il Vangelo che lo chiede ai cristiani: chi prende nella propria vita lo stile, la direzione, la profondità del Vangelo non può non avere a cuore il contrasto di qualsiasi forma di violenza, anche quella verso coloro che hanno tratti di identità diversi da quella eterosessuale.

Di fronte a questa rabbia e a questa distorsione, uno strumento per fare un buon servizio alla res publica è quello di andare a leggere il testo del ddl Zan con l’obiettivo di migliorarlo, di mostrarne le criticità, senza intenzioni di odio o disprezzo verso il mondo queer, cioè di chi porta con sé tratti non eterosessuali.

L’articolo 1 dà delle definizioni. Sono legate “ai fini della presente legge”, ma volendo descrivere dimensioni della vita di ogni persona, esse toccano questioni antropologiche che hanno una risonanza e una ricaduta più ampia. E meritano perciò una riflessione più approfondita: è possibile distinguere, fino a separare, il “sesso” dal “genere”? Il genere ha solo una costruzione culturale e legata alle aspettative sociali indipendentemente dal sesso? La percezione unitaria di sé, l’auto-identificazione del genere, non comprende la percezione del corpo, il sesso? Nella propria “identità di genere” ci si rapporta solo con le caratteristiche psicologiche date da una cultura o c’è anche il sesso dato dal corpo? Questioni che appaiono serenamente risposte e acquisite, ma in realtà sono oggetto ancora di dibattito filosofico e scientifico.

L’articolo 4 che vuole tutelare il pluralismo delle idee e la libertà delle scelte, afferma la possibilità di «condotte legittime… purché non idonee». Un testo contorto: se alcune condotte non sono idonee perché determinano pericolo concreto di atti discriminatori e violenti, allora non sono legittime. Alfredo Mantovano, magistrato, consigliere della sezione penale del Centro studi Livatino, commenta per esempio che il giudice in questo caso ha una discrezionalità ampia perché dovrà accertare se il bene giuridico protetto sia stato messo concretamente in pericolo. Più ampia è la discrezionalità, più i limiti di azione e decisione del giudice non saranno dati dalla legge, ma dalle proprie convinzioni e dalla propria storia. In questo modo chi ha idee diverse potrebbe essere citato in giudizio, mentre la libera espressione di convincimenti e di opinioni è garantita dall’articolo 21 della Costituzione.

L’articolo 7 del ddl Zan, istituendo una giornata nazionale legata alla giusta sensibilizzazione contro la violenza e la discriminazione verso persone queer e alla doverosa promozione di rispetto e inclusione, cita la scuola “di ogni ordine e grado”. Non è chiaro se oltre a questi valori non si debba insegnare la visione di persona che sta sullo sfondo delle definizioni del primo articolo. Una visione diversa può rappresentare quei “pregiudizi” che il medesimo articolo 7 vuole “contrastare”? Le perplessità su questa visione rimangono. Se ci fosse l’obbligo di promuovere questa visione, andrebbe contro il principio che i genitori sono i primi educatori della vita affettiva e relazionale dei figli, ma avanzando questa criticità non si vuole dire che la scuola debba insegnare odio e violenza: nessun buon genitore sarebbe d’accordo. Altra nota da ribadire: non è una criticità sollevata dalle scuole cattoliche (non ci sono solo studenti cattolici e la maggioranza dei cattolici frequenta la scuola pubblica)

Si può notare la necessità di continuare a lavorare sul testo, ricalibrandolo meglio secondo gli obiettivi dell’ambito penale e decidendo se entrare o meno sulle questioni antropologiche. L’augurio è che il lavoro possa essere fatto senza aver paura di tempi più lunghi perché saranno comunque tempi di sensibilizzazione e di promozione di una cultura del rispetto e dell’accoglienza, a condizione che avvenga con toni meno violenti, intolleranti e polarizzati, da parte di tutti.

don Mattia Francescon
dottorando di teologia morale

Una visione aggiuntiva sull’articolo 1 del ddl Zan

Giovanni Maria Flick, già docente di diritto penale, fa notare che attraverso la definizione di “sesso” nel ddl Zan è stata esclusa ogni componente affettiva e relazionale del corpo. E questa definizione restrittiva obbliga a inserire altre nozioni che il legislatore utilizza per finalità e contesti molto diversi dall’obiettivo perseguito (il “genere” è usato in campo elettorale, l’“orientamento sessuale” in materia di lavoro e privacy, l’“identità di genere” nelle norme sull’immigrazione e sul carcere). Con questa operazione la norma è meno comprensibile e in campo penale è meno efficace. Flick propone di aggiungere l’espressione «sesso nelle sue manifestazioni ed espressioni di ordine sociale e individuale»: questo renderebbe comprensibile quel campo della sfera personale e relazionale che la norma difende dalle discriminazioni.

“Identità transessuale“, un termine più definito

Francesca Izzo, politica e accademica, sottolinea che il concetto di “identità di genere” introduce un tema che va al di là dell’obiettivo corretto e doveroso di difendere le persone transessuali. Il concetto annulla la differenza sessuale dando nuovamente spazio agli stereotipi di genere costruiti e imposti dalla cultura, ciò per cui il femminismo lotta e da cui vuole liberare la figura della donna. Per scongiurare questo pericolo propone di usare l’espressione “identità transessuale”, più definitoria rispetto ai crimini che questa legge vuole perseguire e combattere. Alcune accortezze lessicali, poi, suggeriscono di rivedere il testo del disegno di legge: si parla di “omofobia” e “lesbofobia” dimenticando che omofobia fa riferimento a persone omosessuali maschi e femmine (si dovrebbe scrivere eventualmente “gayfobia”).

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