Elezioni, dopo le liste passiamo ai temi. Spettacolo indegno, ma costruire è possibile

Chissà se concluso il riprovevole rito della compilazione delle liste, a un mese dall’apertura delle urne, le forze politiche si degneranno di passare ai temi e alle questioni. E no – mettiamo le mani subito avanti – parole chiave (più o meno sensate o accettabili) come “flat tax”, “ius scholae”, “agenda Draghi”, “ecologia” non sono ciò di cui abbiamo bisogno ora.

Elezioni, dopo le liste passiamo ai temi. Spettacolo indegno, ma costruire è possibile

Adesso, rientrando dalle vacanze – chi ha potuto farle – abbiamo la necessità di comprendere quale Italia hanno in mente per i prossimi anni i concittadini che si candidano alla guida del Paese in queste inedite elezioni autunnali. La visione è qualcosa di più complesso di uno slogan o uno storytelling di renziana memoria: servono dati, opinioni competenti e luoghi in cui riflettere insieme sulla base di valori comuni. Esiste ancora tutto ciò? In attesa di risposte, non rimane che concordare con Francesco Jori che lunedì 21 agosto agitava lo spettro di un astensionismo fuori controllo. Lo spettacolo della compilazione delle liste ha lasciato sgomenti per il modo in cui è stato gestito: i partiti hanno messo da parte ogni remora e oggi sono capaci di ogni espediente pur di garantire seggi sicuri a fedelissimi, tecnici-vip cattura consensi, portavoce, parenti, amici… È dal 2006, con lo sbarco in Parlamento del Porcellum (legge elettorale definita «porcata» dal suo stesso estensore, il leghista Calderoli – che con questa trovata è riuscito a sganciare il suo nome da quella pessima norma) che i cittadini sono privati della possibilità di indicare un proprio rappresentante. E il taglio dei parlamentari (dal 26 settembre, per la prima volta da quando siamo Repubblica, ne avremo solo 600) ha rarefatto la rappresentatività degli eletti, come ha messo in luce con la solita efficacia Gianni Saonara nel numero 176.1 di Toniolo ricerche, disponibile nel sito web dell’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Padova. In questi 16 anni non c’è forza politica che non abbia criticato prima il Porcellum, poi l’Italicum e infine l’odierno Rosatellum: nessuna tuttavia ha mosso un dito per andare oltre. Un’inerzia che inizia a suonare come il sibilo del boomerang quando, dopo il lancio, curva beffardo trasformando il lanciatore in bersaglio. Nonostante l’esplosione di civismo che abbiamo registrato alle ultime amministrative, infatti, la cittadinanza appare nauseata da una politica che oggi offre davvero troppo poco in termini ideali, ma anche di efficacia amministrativa: si allarga il solco tra la gente comune e i pochissimi che hanno il potere di decidere chi siederà a Montecitorio e Palazzo Madama e che, alla prova dei fatti, hanno dimostrato nei decenni di sapere sì e no distribuire le risorse a disposizione, non certo di riuscire a crearne di nuove in virtù della propria capacità. Eppure, ancora una volta, non è questo il momento di arrendersi, anche se l’ambiente politico non offre certo la motivazione a impegnarsi per progettare e costruire. Per quanto criticabili, le liste di partiti e coalizioni in vista del voto del 25 settembre non includono solo i «transumanti» che in questa estate torrida, unici oltre ai turisti, hanno percorso le strade attorno ai palazzi romani per cercare di garantirsi un seggio sicuro (tanto per citare Marco Damilano nel suo podcast “Ex Voto”). Ci sono amministratori locali che hanno dimostrato abnegazione e ottenuto risultati. Ci sono persone che provengono dai settori più importanti della nostra società, come il volontariato, l’impresa e l’insegnamento. E attorno ai candidati esistono associazioni, movimenti, gruppi – anche in ambito ecclesiale – dove il pensiero viene ancora coltivato, come la disponibilità a un impegno disinteressato e gratuito. I partiti devono però porre fine a tutta quella serie di atteggiamenti che li rendono repellenti ai cittadini: mai come oggi la trasparenza e la coerenza pagano. Diventare una “casa di vetro” non può più essere percepito come una costrizione, ma come la possibilità di tornare credibili nei confronti degli elettori.

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