Essere santi oggi. La classe media della santità a cui tutti possiamo appartenere

Quello che conta e viene da Dio non si gioca sul piano della visibilità. Per questo molti santi del passato sono di una modernità straordinaria

Essere santi oggi. La classe media della santità a cui tutti possiamo appartenere

Dove sta la santità? Nell’obbedienza, probabilmente sarebbe questa la risposta di santa Maria Bertilla Boscardin, della quale la Diocesi di Vicenza festeggia in questi mesi i cento anni della nascita al Cielo. E non ci piace, probabilmente. E se gli ordini sono stupidi? E se il superiore è poco intelligente o poco umano? E se la direzione sembra essere contraria a tutto quello che si desidera nel profondo del cuore? I santi non piacciono a tutti. Il servo di Dio dom Hélder Camara è stato accusato di essere troppo politico perché la santità non è di parte; santa Teresa di Calcutta di esserlo troppo poco perché la santità non può prescindere dalla giustizia sociale e politica; san Pio da Pietrelcina di essere troppo divisivo; san Giovanni XXIII che dispose controlli sulla sua opera, di essere troppo ingenuo. Con papa Francesco i santi si sono moltiplicati, tanti, giovani, canonici, nel senso di tradizionali, e no. Nell’omelia del 13 aprile del 2013 in San Paolo fuori le mura a Roma, un mese dopo la sua elezione, papa Francesco ha detto: «Ci sono i santi di tutti i giorni, i santi “nascosti”, una sorta di “classe media della santità”, come diceva uno scrittore francese, quella “classe media della santità” di cui tutti possiamo fare parte». Lo scrittore francese è Joseph Malègue (1876-1940) e l’opera che il papa cita è Agostino Mèridier, del 1933, novecento pagine di romanzo in tre volumi, tradotto in Italia da Sei nel 1962. Dentro ci sono un mare di santi quotidiani, sono soprattutto donne che abitano i luoghi che la storia ha loro assegnato, ovvero la casa, l’educazione dei figli, l’accompagnamento nel dolore. Non arrivano facilmente al Dicastero della causa dei Santi, il più delle volte non ci arrivano per niente. E infatti a scorrere l’elenco dei nuovi santi e beati, malgrado un discreto incremento di laici e laiche, sono religiosi e preti, e poi al terzo posto le religiose a occupare la maggior parte dei posti nel calendario, come se ancora fosse in fondo necessaria o almeno preferibile una vita separata da quella comune per diventare santi. Ma i santi di cui noi parliamo e che invochiamo sono quelli che abbiamo riconosciuto, in qualche modo sono diventati visibili. Santa Maria Bertilla ha fatto dell’invisibilità un preciso consapevole obiettivo. In una pagina del suo diario di giovanissima novizia, aveva sedici anni, scriveva: «Gesù mio, ti scongiuro di farmi morire mille volte piuttosto che permettere che io compia una sola azione per essere veduta!». In tempi in cui essere veduti è tutto e tutto si fa perché accada, una santa così diventa di una modernità straordinaria. Quel che vuol dire è che davvero quel che conta, perché è buono e viene da Dio, non si gioca sul piano della visibilità. E nemmeno, la storia di altri santi lo mostra, nemmeno di una santità conosciuta e attesa. Molti santi non sono stati riconosciuti in vita. Di Oscar Romero papa Francesco ha detto: «Il martirio non avvenne solo al momento della sua morte, fu un martirio- testimonianza anteriore e posteriore al suo omicidio perché è stato diffamato, calunniato, infangato prima e dopo». Non si pensava che la santità stesse lì, anche se il popolo lo aveva capito subito, eccome. Questo ci deve rendere molto molto vigili. Quali santità oggi non stiamo vedendo? Quali potrebbero finalmente rivitalizzare una cristianità stanca, rarefatta, individualista, malinconica come appare in tanta esperienza di chiesa desertificata dalla pandemia e prima ancora dalla fede debolissima che ci anima?

In una bellissima pagina di Resistenza e resa il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer, morto per diretto ordine di Hitler nel 1945, racconta di avere un tempo desiderato di diventare santo conducendo una vita santa. Ma di avere più tardi imparato che solo «quando si è rinunciato a fare qualcosa di noi stessi – un santo, un peccatore pentito o un uomo di Chiesa (una cosiddetta figura sacerdotale!) – allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani e, io credo, questa è fede» (Queriniana, 2002, p. 504). Amare Dio e questo basta. A volte il riconoscimento arriva e in modo del tutto inatteso la straordinarietà della testimonianza viene riconosciuta. Nella maggior parte dei casi no (alla fine, per quanti possano essere, i santi rimangono minoranza!). Dove serve, è questa la parola. Essere presenti dove serve, obbedienti in ogni circostanza, ma in compagnia del Signore. Di sicuro le storie dei santi ci insegnano ancora una volta a non giudicare. Perché la santità è diversa e unica per ciascuno di noi e può essere che il mondo la veda oppure no. Dove sta la santità? Ovunque, ovunque. Se si ama, ovunque.

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