Francesco continua a gridare nel deserto. La missione del card. Zuppi in Ucraina

Sulla missione del card. Zuppi in Ucraina

Francesco continua a gridare nel deserto. La missione del card. Zuppi in Ucraina

La diplomazia vaticana è entrata in azione in Ucraina. Il tramite è il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, presente per due giorni in Ucraina, «per ascoltare, ascoltare sulla tematica della pace, ascoltare sulle tematiche umanitarie», come ha detto il nunzio apostolico nel Paese martoriato dall’attacco russo di quindici mesi fa, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas. La giornata di martedì 6 giugno è stata particolarmente drammatica. Il cardinale – inviato speciale di papa Francesco per la pace – ha incontrato in gran segreto il presidente Zelensky una manciata di ore dopo uno degli episodi più gravi e sconvolgenti della guerra in corso: l’esplosione che ha abbattuto la diga di Nova Khakovna, allagando Kherson, mettendo a repentaglio la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia e sommergendo una delle pianure che la tanto annunciata controffensiva ucraina avrebbe dovuto attraversare per diventare efficace. Se, come logica militare lascia presagire, si tratta di un’operazione firmata Vladimir Putin, siamo di fronte all’ennesimo crimine di guerra, che avrà ripercussioni di lungo corso su tutta la regione. Se già all’annuncio la missione del card. Zuppi appariva assai complessa – e prudentemente condotta senza dichiarazioni ufficiali né telecamere al seguito – oggi c’è il rischio di ritenerla impossibile. Eppure ci sono dei significati in questa mossa di papa Francesco che è bene portare alla luce e tenere a mente, in attesa delle prossime svolte del conflitto. Anzitutto c’è un filo rosso che da parte vaticana non si è mai spezzato ed è quello del dialogo. Nonostante le ripetute preghiere per il popolo ucraino invaso e oggetto di ripugnanti torture e brutali assassini (lunedì mattina il card. Zuppi ha pregato di fronte alle fosse comuni di Bucha), è impossibile non ricordare come la prima mossa del pontefice allo scoppio delle ostilità è stata una irrituale quanto sorprendente visita personale all’ambasciatore russo presso la Santa Sede. E lo stesso Francesco, pur incontrando e incoraggiando lo stesso Zelensky poche settimane fa a Roma, ha sempre sottoposto la possibilità di recarsi a Kiev all’opportunità di essere ricevuto anche da Mosca. C’è un dialogo da mantenere aperto, ci sono mani da stringere, anche se sporche di sangue. Ci sono dei popoli a cui inviare messaggi di pace, tanto più che sempre in guerra subiscono essi stessi i piani di morte di chi ha perso la capacità di rappresentarli in modo degno e rispettoso dei diritti umani. Rompendo o schierandosi da una delle parti in conflitto, si preclude dapprincipio la possibilità di avere un ruolo nel processo di pacificazione. C’è poi un’emergenza ancora più grande dello scoppio della diga, al centro della missione del card. Zuppi: il destino degli oltre 19 mila bambini (secondo “The Children of War”) deportati dall’Ucraina alla Russia e in molti casi dati in adozione a famiglie russe dopo aver loro dato il passaporto russo, altro crimine di guerra per cui Putin è già stato condannato dalla Corte dell’Aja. La vita e il futuro di questi piccoli rischia di finire ai margini dell’attenzione, in un mondo che già da mesi organizza conferenze per la ricostruzione dell’Ucraina distrutta (in Italia c’è stata il 26 aprile, altrove molto prima) prevedendo già gli affari che potrebbero derivarne. Infine, c’è l’assoluta necessità di sottrarre la religione dalle dinamiche politiche e propagandistiche della guerra. Purtroppo il mondo Ortodosso è una delle vittime di questo conflitto: i rapporti tra la Chiesa ortodossa Russa e quella Ucraina sono tesissimi. Il patriarca Kirill non ha tentato nemmeno per un minuto di smarcarsi dalla linea del presidente Putin. La vicenda dell’icona La Trinità, risalente al 1422, ritenuta l’“icona delle icone”, importante quanto fragilissima è emblematica. In occasione dell’ultima Pasqua, Putin ha imposto alla galleria Tretjakov di cederla al Patriarcato di Mosca, un gesto che va ad alimentare il misticismo patriottico diffuso in russia. Le Chiese, anziché prestarsi a tutto questo, dovrebbero invece condannare la violenza senza mezzi termini. Francesco continua a gridare nel deserto.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)