Futuro dell’Europa: quanto conta davvero la voce dei cittadini?

La Conferenza sul futuro dell’Europa sta procedendo, fra plenarie, piattaforma digitale e panel dei cittadini. Tre protagonisti ne sottolineano aspetti positivi e limiti: l’europarlamentare Guy Verhofstadt, il presidente dei sindacati europei Luca Visentini, la leader dell’European Youth Forum Silja Markkula. Con un interrogativo di fondo: quale possibile esito ci si può attendere da questo percorso di dialogo su scala continentale in vista delle riforme e del rilancio dell’Ue?

Futuro dell’Europa: quanto conta davvero la voce dei cittadini?

Novembre è il mese del secondo giro di incontri per i quattro panel tematici della Conferenza sul futuro dell’Europa: a turno, nei quattro fine-settimana, gli 800 cittadini europei si ritrovano virtualmente per iniziare a mettere nero su bianco proposte precise sui temi loro affidati. Hanno a disposizione tutto il materiale già confluito sulla piattaforma della Conferenza, i primi scambi avvenuti all’interno dei panel e nella plenaria che si è svolta a Strasburgo il 23 ottobre. Il tempo a disposizione poco, il lavoro molto: i cittadini dei panel 1 e 2 (“un’economia più forte, giustizia sociale, occupazione/istruzione, gioventù, cultura, sport/trasformazione digitale” e “democrazia/valori e diritti europei, Stato di diritto, sicurezza”) devono preparare il loro contributo per la plenaria del 17-18 dicembre, in due incontri (il primo virtuale, il secondo a dicembre in presenza). Gli altri due panel (“cambiamenti climatici, ambiente/salute” e “l’Ue nel mondo/flussi migratori”), hanno lo stesso numero e modalità di incontri ma presenteranno le loro proposte alla plenaria del 21-22 gennaio. Ma i cittadini dovranno trovare il modo di farsi largo e armonizzarsi con le proposte che gli eurodeputati e i deputati dei parlamenti nazionali, i delegati di organismi, ong e società civile nel contesto dell’assemblea plenaria. Fino a qui si sono fatte dichiarazioni e proclami, anche alla sessione di ottobre, dove per la prima volta l’assemblea si è riunita nell’emiciclo di Strasburgo nella sua piena composizione (a giugno mancavano ancora gli 80 cittadini espressione dei panel). Seppure in un clima generalmente pro-europeo (cosa che per certi versi è logica, ma considerate anche le forti spinte populiste che lacerano l’Ue, appare un po’ irrealistica), c’è stato un semplice succedersi di voci e opinioni sui temi all’ordine del giorno, cittadini alle prime armi da una parte, scafati e sicuri rappresentanti delle istituzioni politiche dall’altra, in mezzo le voci della società civile e degli organismi paneuropei che conoscono sia le regole del gioco della politica sia i problemi della gente comune. Come in pochi mesi (perché la Conferenza dovrebbe concludersi ad aprile) e pochi incontri, si riuscirà a creare una unità tra le mille diversità che la Conferenza coraggiosamente accoglie, resta un mistero.

Il fattore-tempo. “Più tempo non è essenziale”, ha detto al Sir Guy Verhofstadt, l’eurodeputato che co-presiede il Comitato esecutivo, cioè la cabina di regia. “In politica più tempo non ha mai risolto qualcosa. Se dai più tempo ai politici, aspetteranno fino alla fine prima di prendere una decisione. Al contrario un processo intenso può essere di beneficio e aiutarci ad essere più coraggiosi”. Non è d’accordo Luca Visentini, segretario generale della Confederazione europea dei movimenti sindacali, l’Etuc: al Sir esprime la necessità che “si prolunghi il tempo della discussione oltre la primavera 2022: non è la conferenza di Macron per la sua campagna elettorale, siamo grati abbia lanciato questo esercizio però vorremmo discutere anche dopo le presidenziali francesi”.

Politici-part time. Positivo e fiducioso è Guy Verhofstadt sull’andamento della Conferenza e anche rispetto al contributo dei cittadini che nella plenaria “partecipano ai processi decisionali e diventano una sorta di politici-part time”. Infatti, se

la piattaforma digitale “non è uno strumento rappresentativo, perché la partecipazione è un atto individuale, seppure interessante per sapere che cosa dicono le persone”,

gli 800 cittadini dei panel “per il modo in cui sono stati scelti sono uno specchio della società, ad eccezione del fatto che abbiamo voluto sovra-rappresentare i giovani”. Anche su questo punto Visentini prende le distanze e parla di “alcuni problemi nella selezione dei cittadini, affidata a una società esterna” e di una “composizione economico sociale sbilanciata”: “Non c’è una vera parità di genere, non c’è un vero equilibrio geografico, dal nostro punto di vista molto grave è che meno del 45% di questi cittadini siano lavoratori e lavoratrici”.

E la trasparenza? Scettico è Visentini anche sul reporting della piattaforma digitale, le relazioni periodiche che vengono svolte, anche questi, da una società esterna senza controllo politico, per sintetizzare i contributi postati dai cittadini sulla piattaforma: sono usciti due “interim report”, con relativa “sintesi politica” e un terzo è atteso per dicembre; Visentini denuncia che “ci sono moltissime proposte arrivate prime nelle aree tematiche che non sono nemmeno menzionate nei sommari, nonostante siano le proposte numero uno per gradimento complessivo”: il riferimento è a proposte in tema di integrazione dei migranti, o un approccio al tema migrazioni basato sui diritti umani, o ancora la necessità di modificare i trattati per mettere i diritti sociali allo stesso livello delle libertà economiche, includendo il pilastro per i diritti sociali. “Quindi c’è un filtro che noi non condividiamo ovviamente”.

La resistenza delle istituzioni. Concordano Verhofstadt e Visentini sul fatto che “i cittadini vogliono più Europa, ma una Ue diversa”. Hanno “una grande ambizione e proposte molto concrete”, sottolinea Visentini, che segnala per contro “molta resistenza da parte delle istituzioni a considerare queste proposte sul serio; soprattutto Consiglio e Commissione, a parte le dichiarazioni di principio, mi sembrano molto impermeabili”.

Resta quindi la preoccupazione che “alla fine non ci siano delle vere conclusioni” o “un impatto reale sulla vita dell’Ue e su alcuni cambiamenti dell’architettura politico-istituzionale”.

L’Etuc partecipa ai lavori del Comitato esecutivo in veste di “osservatore”: “ci sarà da fare ancora una battaglia per fare in modo che la discussione vada più nel concreto e alla fine i risultati portino a decisioni”.

La voce dei giovani. A chiedere “un meccanismo vincolante per cui le istituzioni dovranno effettivamente impegnarsi rispetto ai risultati, qualsiasi essi siano” sono anche i giovani dell’European Youth Forum, organismo che nella plenaria di ottobre è stato rappresentato dalla presidente Silja Markkula. La giovane finlandese si sente investita del compito di “far sentire la voce di tutti i giovani europei: tanto più dopo la pandemia, siamo i più provati e non c’è nessuno che parla per noi”, nonostante il fatto che “i giovani siano la generazione più a favore dell’Europa, da quello che dicono le statistiche”.

Voto a 16 anni. E proprio i giovani riguarda una delle idee che è circolata in plenaria e che secondo Guy Verhofstadt merita attenzione: “Abbassare l’età del voto a 16 anni in tutta Europa, perché non si può dire che i giovani non siano già sufficientemente saggi per prendere decisioni”. Markkula invece indica un’altra urgenza: rendere il percorso dei giovani, dall’istruzione all’occupazione, un percorso di qualità, che garantisca loro “le stesse possibilità delle altre generazioni quando si affacciano al lavoro”. Per Markkula è anche importante ci sia maggiore “sostegno e spazio alle associazioni giovanili che sono innanzitutto percorsi di educazione ai valori democratici”. Indispensabili.

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Fonte: Sir