Giornata della libertà di stampa, Noury: “La pandemia ha inasprito gli attacchi contro i giornalisti”

I Paesi che hanno il più alto numero di giornalisti assassinati sono il Messico e l’Afghanistan, mentre la Turchia ha ancora il record di incarcerazioni. Il portavoce di Amnesty International Italia: “Con il Covid-19, il giornalismo d’inchiesta è visto sempre più come una minaccia da regimi autoritari”

Giornata della libertà di stampa, Noury: “La pandemia ha inasprito gli attacchi contro i giornalisti”

Giornalisti silenziati, intercettati, minacciati, assassinati. Il 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa, c’è poco da festeggiare: secondo il World press freedom index di Reporter Senza Frontiere, il giornalismo è al momento ostacolato in più di 130 Paesi di 180 analizzati nel mondo, mentre solo 12 mostrano una “buona situazione”: una zona bianca che non è mai stata così ristretta dal 2013. “Sono anni difficili per il giornalismo d’inchiesta e indipendente, visto sempre più come una minaccia da regimi autoritari e repressivi – commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia –. I Paesi che ci preoccupano di più, per il più alto numero di morti, sono il Messico e l’Afghanistan: in Messico, solo l’anno scorso sono stati uccisi 11 giornalisti, anche se nel Paese non c’è un conflitto interno aperto. Ma a causa della criminalità organizzata e della corruzione, per i giornalisti è un campo di battaglia comunque. In Afghanistan, nel 2020 ne sono stati uccisi 11 e altri quattro già solo dall’inizio del 2021”.

Quale impatto ha avuto la pandemia a condizionare in negativo l'accesso alle notizie e la libertà dei media?
L’elemento particolare del 2020 è stato proprio che, in una trentina di stati, il nemico da sconfiggere non era la pandemia, ma il giornalismo che indagava sulla pandemia. Tanti giornalisti hanno fatto inchiesta e portato alla luce l’inadeguatezza delle misure di contrasto emanate dai governi, la scarsità di posti letto e di ventilatori, la mancanza di dispositivi di protezione… E così, con la scusa del Covid, tanti Paesi ne hanno approfittato per regolare i conti. Sono state emanate nuove leggi contro le fake news, che però, invece di colpire la mala informazione, hanno colpito il buon giornalismo. In Zambia, in Zimbabwe e in Angola, alcuni organi di stampa sono stati chiusi, con questo pretesto. Ammettere la presenza del Covid era diventato quasi un fatto di reputazione, e per non fare “brutta figura”, per così dire, i governi se la sono presa con i giornalisti. Nelle Filippine, ad esempio, quando a marzo del 2020 arrivavano dagli ospedali le prime notizie dei primi morti per Covid, un giornalista ha chiesto in una conferenza stampa se erano stati predisposti sacchi per i corpi dei defunti: il portavoce del presidente ha detto che sì, erano stati predisposti dei sacchi, ma per i giornalisti come lui.

Qual è il paese dove oggi sono imprigionati un numero maggiore di giornalisti?
Senza dubbio la Turchia, che ancora è definita 'la più grande prigione al mondo per i giornalisti'. L’espressione, nata nel 2016 dopo un’ondata di repressione e incarcerazioni di massa, rimane a tutt’oggi attuale. Al momento nel paese ci sono almeno 150 tra giornalisti e operatori dell’informazione in carcere, e nell’ultimo anno, ci sono stati nuovi procedimenti giudiziari legati alle inchieste giornalistiche sulla gestione dell’emergenza covid e sull’inadeguatezza della risposta di Erdogan.

Qual è un caso simbolo della difesa della libertà d’espressione?
La vicenda di Julian Assange è sicuramente emblematica di quello che potrebbe accadere al giornalismo d’inchiesta, se la situazione andasse come gli Stati Uniti vogliono, ossia se Assange venisse estradato e processato. Questo è un classico esempio di giornalismo perseguitato. Le accuse che pendono su di lui derivano direttamente dalla diffusione di documenti riservati nell’ambito del suo lavoro giornalistico con Wikileaks: rendere pubbliche informazioni del genere è una pietra angolare della libertà di stampa e del diritto dei cittadini ad avere accesso a informazioni di interesse pubblico. Tutto questo dovrebbe essere oggetto di protezione e non di criminalizzazione.

E in Italia, qual è lo stato di salute della libertà di stampa?
Il nostro Paese al 41° posto al mondo per tutela della libertà di stampa, secondo l’indice di Reporter Senza Frontiere: un posto conquistato grazie a tanti piccoli cambiamenti in positivo che i giornalisti sono riusciti a conquistare negli ultimi anni, ma il problema vero, quello delle intimidazioni e delle minacce, non è risolto. La libertà di stampa infatti non è solo scrivere ciò che si vuole, ma scrivere ciò che si vuole senza pagarne un prezzo. Oggi gli attacchi al buon giornalismo arrivano da più parti: dalla criminalità organizzata, così come da organizzazioni di estrema destra. E poi c’è la questione, uscita di recente, dei giornalisti intercettati dalla procura di Trapani senza che fossero coinvolti in indagini in corso: è un fatto inaccettabile. C’è ancora tanto da fare perché, nel nostro paese, la libera informazione sia tutelata e sostenuta.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)