H come Handicap. Ognuno ha valore incommensurabile in quanto persona, non può mai essere ridotto solo alla sua disabilità

Il ruolo delle famiglie è fondamentale, perché sono esse portatrici sane della disabilità attraverso l’accoglienza naturale che riserbano a quel loro componente con handicap.

Proporrei più delicatezza con l’handicap, più riguardo. Ci ricambierà.
Giuseppe Pontiggia

H come Handicap. Ognuno ha valore incommensurabile in quanto persona, non può mai essere ridotto solo alla sua disabilità

H come Handicap. Nutro la profonda convinzione che di handicap e disabilità debbano parlare quasi esclusivamente coloro che li vivono sulla loro pelle. D’altro canto è argomento che non può essere omesso o censurato dato il numero elevatissimo di famiglie che vivono questa particolare situazione. Molto è stato fatto nel mondo e in Italia perché le persone con disabilità possano affacciarsi all’istruzione, allo sport, al mondo del lavoro e alla vita sociale con pari opportunità, eppure c’è ancora lavoro da svolgere per snellire la burocrazia, per crescere in educazione civica, e per acquisire consapevolezza nella sensibilità diffusa.

Chi non rispetta un parcheggio riservato a disabili, chi non si dimostra sensibile all’abbattimento delle barriere architettoniche, chi si comporta come se non esistesse il problema, ha lui stesso un handicap profondo che va affrontato e vinto. In quest’ottica il ruolo delle famiglie è fondamentale, perché sono esse portatrici sane della disabilità attraverso l’accoglienza naturale che riserbano a quel loro componente con handicap. Nessuno più di un genitore o di un fratello sa per esperienza diretta quanto lavoro su se stessi possa richiedere l’accettazione dell’handicap. La prima chiamata in causa è certo la persona disabile, ma i suoi famigliari non sono meno protagonisti in questa battaglia contro sofferenze profonde, fatiche, resistenze egoistiche, pregiudizi e luoghi comuni. È tutto il nucleo famigliare che deve fare un percorso di crescita speciale e che poi, però, diviene inevitabilmente testimone di una sapienza di vita, di una saggezza forgiata dall’esperienza che può contagiare le altre famiglie “inesperte” perché senza il problema in casa e più in generale nella società, a volte ancora distratta. C’è un prendersi carico della disabilità che vuol dire non ignorarla, vederla e poi saper andare oltre… È quello che capita ogni volta che si incontra una persona con una menomazione o un disturbo evidente: non si può far finta di niente, ma una volta presa consapevolezza, bisogna saper arrivare al cuore di chi si ha di fronte. Ognuno ha valore incommensurabile in quanto persona, non può mai essere ridotto al suo handicap e neanche alla somma delle sue caratteristiche, benché positive: c’è un di più, un’eccedenza.

Anche nella disabilità si tratta di scoprire un oltre, essere aperti alla scoperta delle potenzialità di quella stessa “ferita” che può rivelarsi “feritoia”. Negli ultimi anni non sono mancati libri e film che ci hanno reso più vicino il mondo della disabilità. Hollywood ne ha fatto un cavallo di battaglia per tante star che si sono cimentate nella prova difficile di impersonare un personaggio con handicap. Anche l’Italia ha visto felici esperienze narrative e poi nel nostro Paese è particolarmente meritevole una generazione di atleti paraolimpici che non si risparmiano non solo vincendo importanti medaglie ai vertici mondiali, ma anche in una fondamentale attività testimoniale che concorre all’educazione di cui si diceva. È tempo di vivere in una società più matura. Una società in cui la persona disabile possa procedere a testa alta senza ricevere dagli altri un aggravio di problemi in aggiunta a quelli che ha dovuto e deve affrontare quotidianamente per il suo stato. Senza il disagio altrui, senza commiserazione e tanto meno discriminazione. Si tratta di una cultura che si acquisisce da piccoli, giocando fra bambini, che si apprende in famiglia e che una volta appresa non si dimentica più: ma questo imprinting è indispensabile, è un patrimonio di valori che si deve accumulare presto, nei primi anni di vita quando l’innocenza dell’età ci aiuta ad assimilare la diversità come un valore e non come un ostacolo da superare. Ecco, questo è ciò che dobbiamo preservare, una cultura che non tenda a normalizzare tutto, ma, fin dal concepimento della vita, accolga la diversità come preziosa in se stessa e accetti il principio per cui “da vicino nessuno è normale”.

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Fonte: Sir