Il voto che giudica. Una riflessione sul sistema di valutazione della scuola italiana

Una scuola troppo competitiva non è certamente un laboratorio di democrazia, di reale inclusione e di cooperazione.

Il voto che giudica. Una riflessione sul sistema di valutazione della scuola italiana

Negli ultimi mesi si è parlato spesso di valutazione e voti nelle scuole. A sollevare di nuovo il dibattito sono stati gli studenti del liceo Manzoni di Milano che, qualche settimana fa, hanno animato una protesta con tanto di occupazione, evidenziando all’attenzione dei media quanto la componente emotiva e lo stress pesino sul rendimento scolastico. I liceali milanesi hanno lamentato che nell’attuale sistema scolastico italiano una certa idea del merito e della competitività alimentino di fatto un continuo stato di pressione e un carico di  stress a volte insostenibili.

Sulla stessa lunghezza d’onda già da qualche tempo alcuni docenti e studenti del liceo Morgagni di Roma, dove esiste una sezione sperimentale “senza voti numerici”. Anche il liceo Cannizzaro di Palermo si prepara a inaugurare il prossimo anno questa metodologia e a questo scopo sta formando un team di docenti che valuterà gli studenti in maniera “narrativa”. L’approccio proposto è metacognitivo, teso cioè a valorizzare l’emotività degli studenti e le competenze trasversali. Naturalmente questo tipo di valutazione presuppone anche il cambiamento del modello culturale che è alla radice dell’istituzione scolastica.

In questa sperimentazione si propongono modelli di apprendimento “sostenibili” e un inquadramento “pedagogico” della valutazione, che tenga conto del percorso, del contesto e della maturazione dell’individuo in maniera complessiva. Gli studenti ricevono dai professori commenti “narrativi” sul lavoro svolto e indicazioni concrete su come migliorarlo, invece di numeri segnati in rosso. Il modello, tra l’altro, nasce nel Nord Europa, dove i dati sulla dispersione e sull’abbandono scolastico sono decisamente più confortanti dei nostri. Pare, infatti, che la “curva ansiogena” della scuola italiana sia la più marcata in Europa e che spesso scoraggi i soggetti più fragili a continuare il percorso di studi. La tensione che precede verifiche e interrogazioni non produce buoni frutti neanche sul terreno della preparazione che appare spesso mnemonica e poco strutturata, pertanto “volatile”.

Il progetto formativo della scuola “senza voti” si basa sulla collaborazione tra gli studenti, coinvolti in attività di gruppo e di peer to peer, che li porta ad interagire di più tra loro in classe e a casa: viene chiamata anche “scuola delle relazioni e delle responsabilità”.

In attesa di conoscere i risultati a lunga distanza della scuola “senza voti”, che è sotto lo sguardo vigile delle università e degli enti formativi, la riflessione sul sistema di valutazione della scuola italiana può comunque trovare spazio anche all’interno delle sezioni “tradizionali”, cioè quelle che utilizzano i voti numerici.  Qualcuno afferma con preoccupazione che il “voto” sia ormai il centro del processo di apprendimento, soprattutto nelle scuole secondarie.  Il cuore pulsante della scuola italiana è davvero il “registro elettronico” con le sue notifiche ansiogene?

La centralità del voto viene definito “metrolatria”, o “taylorismo della didattica”. Nel suo libro intitolato La tirannia della valutazione (Elèuthera, 2013), la filosofa francese Angelique Del Rey afferma che la scuola dovrebbe sollecitare il pensiero divergente, accettare la complessità, l’imprevedibilità, la singolarità. Gli errori dovrebbero essere considerati strumenti necessari e inevitabili per la crescita. Nell’attuale visione “competitiva” dell’apprendimento, osserva la filosofa, c’è lo zampino del “capitalismo” che favorisce non chi è più “bravo”, ma chi è più “adatto” in una prospettiva di “darwinismo sociale”.

Dove sono finiti gli insegnamenti di pedagogisti come John Dewey, Maria Montessori, Ovide Decroly? La riflessione urge perché una scuola troppo competitiva non è certamente un laboratorio di democrazia, di reale inclusione e di cooperazione. Esalta, invece, l’individualismo e le doti del singolo.

E quindi? Sono i voti l’origine di tutti i mali? Certamente no, ma lo possono diventare se privati di un inquadramento formativo, attento al percorso del singolo.

“Valutare” vuol dire “attribuire valore”, quindi “valorizzare”. Il momento valutativo e la didattica dovrebbero muoversi in una dialettica tesa al miglioramento e alla crescita e non alla mera classificazione dell’individuo.

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Fonte: Sir