Il welfare umano? “Ripartire dalla pandemia, ricordando la dimensione dell’interdipendenza”

L’intervento dell’ex ministro Livia Turco al convegno promosso dalla Comunità di Capodarco. “Leggi e risorse da sole non bastano, resta ancora da costruire il terzo pilastro del welfare”. E ha aggiunto: “Il paradigma per costruire un welfare umano è la cura della vita. La parola democrazia deve essere nutrita della pratica del prendersi cura: un aspetto che non attiene solo al volontariato ma che richiede impegno e consapevolezza da parte della politica”

Il welfare umano? “Ripartire dalla pandemia, ricordando la dimensione dell’interdipendenza”

Come costruire un Welfare umano? Come ripensare il modo di approcciare le problematiche sociali, soprattutto sulla scorta delle esperienze degli ultimi anni? Un contributo importante, di sostanza, portato al convegno organizzato dalla Comunità di Capodarco è stato quello dell’ex ministro per la Solidarietà sociale (1996) e della Salute (2006) Livia Turco. Un’amica della Comunità, che infatti la Turco ha voluto ringraziare per essere stata “una scuola preziosa”.

Il terzo pilastro del welfare

“Don Vinicio ha trovato la parola giusta che in qualche modo evidenzia la fase che stiamo vivendo. ‘Welfare umano’ è la parola giusta, che declinerò nell’idea di un welfare di prossimità, di un welfare che traduce il paradigma che la pandemia ci ha insegnato: la cura della vita. ‘Welfare umano’, una parola che segnala il problema a cui siamo di fronte: nonostante leggi e risorse, il welfare in Italia continua a essere il welfare della previdenza, della sanità… E il terzo pilastro del welfare, il welfare sociale? Le risorse (sparse in 14 Fondini categoriali, e che nel corso degli anni si sono accumulate non tanto secondo la logica dei diritti ma secondo la logica dei trasferimenti monetari, quindi dell’assistenza) da sole non bastano: resta allora da costruire questo terzo pilastro del welfare”.

Ha continuato Livia Turco: “Nell’elaborazione della legge quadro sulla non autosufficienza, il ministro Orlando ha costituito un gruppo di lavoro di cui ha fatto parte anche don Vinicio. E don Vinicio ci ha sempre detto che non ci sono solo le ‘prestazioni’ ma c’è l’aspetto umano. Lì abbiamo capito che il tempo è scaduto: per cui anche utilizzando il recovery fund, la missione 6 (quando si parla di vita indipendente, di deistituzionalizzazione, di modalità innovativa della presa in carico della povertà estrema, del sociale che si fa carico della rigenerazione urbana…) è il momento di dire: se non ora, quando? E’ il momento di fare il salto”.

Dal welfare umano al welfare di prossimità: l’importanza dell’empatia

“La sollecitazione che viene da questo incontro mette l’accento sulla necessità di individuare i pensieri con cui scandire le politiche – ha affermato Livia Turco -. Io credo che il welfare umano sia traducibile nel ‘welfare di prossimità’. E’ il welfare che attiva e valorizza le competenze di ciascuna persona. A partire da quelle più fragili. Non dimenticherò ma le parole delle madri delle persone diversamente abili in merito al Dopo di Noi. Mi dissero: ‘Noi vogliamo che i nostri figli siano messi nelle condizioni di dare un contributo alla comunità’. Per me questa è stata un’espressione illuminante, di grande cittadinanza. Non chiedere l’indennità di accompagnamento, ma chiedere che un figlio sia messo nelle condizioni di dare un contributo significa chiedere qualcosa di impegnativo e di profondamente umano, che traduce il principio di uguaglianza! Perché se qualcuno è sollecitato a tirare fuori le proprie competenze, ecco che si tira fuori il vero principio di uguaglianza”.

“Ma per promuovere la valorizzazione delle competenze ci vogliono i famosi contesti - ha aggiunto Livia Turco -. C’è il contesto dei servizi, che spesso manca, delle figure professionali. Ma quello che è fondamentale per tirare fuori le capacità delle persone è il mettere in gioco una forte relazione umana. Ho imparato a dare un grande senso all’esperienza dell’empatia. Empatia significa mettersi nei panni dell’altro e dunque esprimere al massimo un’azione umana: cercare di capire, condividere, risolvere il problema assieme a quella persona. Per questo credo che sia la sostanza che dobbiamo mettere al centro nella costruzione di un welfare certo. Un fatto che ci deve riguardare come cittadini”.

Il Covid e l’esperienza della fragilità

Ha continuato Livia Turco: “Dico questo con particolare convinzione dopo l’esperienza fatta con il Covid. Credo che sia importante sottolineare cosa ci ha insegnato. Durante i mesi più duri abbiamo detto che bisognava cambiare rispetto a quello che eravamo prima. E allora ricordiamoci cosa ci ha insegnato quella esperienza. Già lo ha sottolineato Papa Francesco, dicendo: ‘Ci credevamo sani in un mondo malato’. Ma insieme a questo, l’insegnamento che non possiamo disperdere del Covid è che ci siamo sentiti fragili, ci siamo sentiti esposti dall’oggi al domani alla fragilità della nostra vita. E abbiamo fatto l’esperienza di essere soggetti interconnessi. Adesso capiamo, per esempio, che se il vaccino funziona solo nel ricco Occidente, il virus continua a circolare! Siamo dunque parte di un mondo globale. E’ un’esperienza decisiva quella che abbiamo fatto: è qualcosa di cui dobbiamo essere consapevoli. La pandemia ha messo in discussione un pensiero che è stato prevalente, a tratti esclusivo, di questo nostro tempo: il pensiero di quella potenza umana che sembrava poter fare a meno di prendere in considerazione le altre parti dell’umanità che vivono accanto a noi, che poteva sottovalutare l’importanza dell’ambiente... L’io potente che non ha bisogno degli altri: non è stata questa la cultura di cui siamo stati pervasi nell’ultimo ventennio? Lo dico con dolore, da donna di sinistra. Si è pensato che i diritti individuali siano il motore, dimenticando la comunità”.
Per Livia Turco, “l’esperienza della fragilità ha significato mettere in discussione la potenza di un pensiero prevaricante. Se vogliamo essere coerenti, allora, se sappiamo che non possiamo tornare ad essere quello che eravamo prima; se vogliamo costruire un welfare umano, dobbiamo pensare a una posizione antropologica diversa. C’è la dimensione del legame e dell’interdipendenza. Per cui la libertà non esiste senza questa interdipendenza”.

La cura della vita

Per elaborare questa esperienza è importante mettere al centro il principio della cura della vita. “Occorre costruire una visione nuova della società e del welfare – ha sottolineato Livia Turco -: la parola cura è stata anche banalizzata. La cura è sì il lavoro di cura ma anche una visione antropologica, è prendere atto che noi siamo immersi in un mondo che è fatto di altri. Che vivere è inevitabilmente convivere. E’ essere consapevoli che la dipendenza che ci unisce non è debolezza ma esercizio della nostra libertà. La cura è responsabilità verso l’altro, che nasce dallo stato di bisogno ma anche dalle potenzialità e dalle possibilità che una persona ha. Cura come valorizzazione delle potenzialità dell’altro, dunque. Cura è favorire il benessere delle persone, con l’obiettivo di una vita dignitosa per tutti. E questo ridefinisce anche il principio di uguaglianza”.

Le stagioni della vita e la salute come bene comune

Il Covid ha colpito particolarmente gli anziani e i bambini. “Anziani e bambini sono due importanti stagioni della vita. La cura ci obbliga a tornare a ragionare sulla vita, che è un ciclo che si ripete, scandito dalle diverse stagioni. E noi non possiamo non vederle, e non dare loro un valore – ha continuato Livia Turco -. Ridare valore alle stagioni significa anche riconoscerne le differenze e le peculiarità. Non conta solo la stagione di quando sei produttivo, ma le stagioni sono importanti tutte, anche quando vivi la fragilità. Penso sia un concetto d a rimettere al centro e quando abbiamo formulato la legge quadro l’abbiamo chiamata infatti ‘Norme per la persona anziana e per la presa in carico della persona non autosufficiente’”.

Il paradigma per costruire un welfare umano è dunque, secondo Livia Turco, la cura della vita. “La pandemia ci ha anche insegnato che la salute è un diritto individuale che deve essere riconosciuto a tutti, ma non è solo un diritto individuale, è anche un bene comune che deve essere promosso da una società in salute. Quanti studi sono stati fatti negli anni sui ‘determinanti sociali’ della salute? Quanti studi ci hanno spiegato che la salute dipende anche dal lavoro, dalla famiglia, dal contesto in cui si vive? Ma quale traduzione hanno avuto poi questi studi nelle politiche concrete di promozione di diritto alla salute? Lo slogan che ci era stato suggerito dall’Europa quando ero ministro era ‘La salute in tutte le politiche’. Ma come l’abbiamo reso concreto? Il passo avanti in realtà non è stato fatto. E penso che sia importante invece ragionare sugli strumenti da adottare per costruire una società in salute.
Mi chiedo, allora, se insieme al Piano sanitario nazionale, nel momento in cui si ragiona di medicina di comunità, territoriale, non sarebbe importante dotarsi di programmi intersettoriali su base regionale. Per valutare l’impatto che l’ambiente ha sulla salute, o che le condizioni lavorative hanno sulla salute. E’ un esempio concreto che mi permetto di fare per andare avanti e trarre conseguenze rispetto a quanto imparato nella pandemia”.

Pandemia e servizi sociali

Ha continuato Livia Turco: “La pandemia ci ha anche dimostrato quanto siano fondamentali quei servizi sociali che continuano ad esser così carenti in Italia. Per esempio, per gestire il Reddito di cittadinanza non basta lo sportello Inps: se non hai l’assistente sociale motivato e il segretariato sociale che funziona, quella misura non viene gestita bene. Perché quella misura si accompagna alla presa in carico! La pandemia ci ha ricordato anche tutto questo”.

Ma c’è un altro passo in avanti da fare per essere coerenti con l’insegnamento della pandemia. “Un conto è la promozione delle capacità, un conto la promozione dell’assistenza. Presuppongono due approcci diversi. La pandemia ci ha detto che dire diritti sociali significa dire una cosa fondamentale: creare le condizioni perché siano esplicate fino in fondo le competenze di ogni persona. Questo qualifica il modo stesso il modo di pensare i servizi ma anche di fare i servizi. E ci ha detto che ci deve essere il sociale in tutte le politiche. Per esempio non serve solo il Piano di zona, ma penso che l’evoluzione debba essere verso il Patto territoriale per lo sviluppo solidale. Un Pubblico autorevole non demanda ad altri la promozione dei diritti sociali, ma sollecita le responsabilità. Penso a un Pubblico che chiama attorno a un tavolo non solo le figure tradizionali, ma anche le figure economiche e sociali. Io non credo che bisogna cancellare la pluralità e tornare a un Pubblico che fa tutto, sarebbe una visione arretrata. Ma il punto è: come partecipa la società? Ciascuna secondo il proprio canale? Con canali diversi che non si incontrano? Oppure deve essere un Pubblico con la sua autorevolezza che mette intorno a un tavolo più soggetti a ragionare sulle priorità del benessere sociale di un Paese? Assieme alle risorse, è importante la lettura delle priorità. Possono essere gli anziani non autosufficienti, ma anche gli adolescenti. Il Pubblico come sollecitatore di priorità, dunque, e come catalizzatore”.

La democrazia del “prendersi cura”

Questi sono i passi avanti da fare pensando al Covid, a ciò che ci ha lasciato e pensando al concetto di welfare umano. “Concludo su un punto: dire cura della vita significa parlare di un modello di sviluppo, che metta al centro i grandi beni comuni, significa declinare l’idea di welfare ma anche l’idea di cittadinanza e di democrazia. E’ importante la democrazia del prendersi cura. Evidenzio il ruolo che deve avere la politica e noi: dobbiamo promuovere una cittadinanza, per cui a ogni cittadino sia possibile mettere in pratica la parabola del buon samaritano. Questo per dare un senso alla parola democrazia, che per essere rinvigorita deve essere nutrita della pratica del prendersi cura. E’ questo un aspetto che non attiene solo al volontariato e al terzo settore. Richiede impegno e consapevolezza da parte della politica. Il declinare la pratica del prendersi cura richiede sforzo innovativo di lettura dei problemi sociali”, ha concluso Livia Turco.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)