L'allarme del cardinal Turkson. «Non c'è più tempo da perdere»

Non si possono più rimandare azioni concrete per la protezione dell'ambiente. È questa la consapevolezza emersa dalla conferenza internazionale "Saving our common home and the future of life on earth” organizzata nei giorni scorsi dal dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale – il cui prefetto è il card. Peter Turkson – in collaborazione con il Movimento cattolico mondiale per il clima, nel terzo anniversario di pubblicazione dell’enciclica Laudato si’.

L'allarme del cardinal Turkson. «Non c'è più tempo da perdere»

Non si possono più rimandare azioni concrete per la protezione dell'ambiente. È questa la consapevolezza emersa dalla conferenza internazionale "Saving our common home and the future of life on earth” organizzata nei giorni scorsi dal dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale – il cui prefetto è il card. Peter Turkson – in collaborazione con il Movimento cattolico mondiale per il clima, nel terzo anniversario di pubblicazione dell’enciclica Laudato si’.

Card. Turkson, nel confronto molto spazio è stato riservato ai giovani e alle comunità indigene. Perché?

«Abbiamo voluto coinvolgere i giovani in vista del Sinodo di ottobre; le popolazioni indigene nella prospettiva del Sinodo in Amazzonia nell’ottobre 2019. I primi perché sono non solo il futuro, ma anche il presente del mondo; i secondi perché vivono sulla propria pelle in modo drammatico la crisi ecologica».

Laudato si’ tre anni dopo. Dunque?
«In questi tre anni abbiamo avuto modo di viaggiare in molti luoghi del mondo e di parlare della sfida-crisi ambientale ed ecologica in diverse realtà, università e Chiese. Abbiamo discusso a tutti livelli e la risposta ricevuta non è stata uniforme: c’è chi si chiede perché il suo parroco non parli mai di questo e c’è chi invece riferisce di diverse iniziative avviate a livello parrocchiale. Nell’enciclica il papa ha sottolineato l’importanza di una base scientifica e tutti i dati e le evidenze attestano il climate change e il riscaldamento del pianeta. Subito dopo la promulgazione di Laudato si’, nel dicembre 2015, 196 Paesi avevano adottato l’Accordo di Parigi con il proposito di contenere la crescita di questo riscaldamento globale sotto i 2°C rispetto ai livelli pre-industriali e, se possibile, sotto 1,5°C».

Un proposito mantenuto?
«No. Smentisco che ci sia stato questo impegno. Sono passati due anni e mezzo e la situazione è allarmante, lo scioglimento dei ghiacciai prosegue, la desertificazione avanza, le condizioni dell’atmosfera sono preoccupanti per l’alta concentrazione di emissioni di CO2 e le conseguenze più gravi non sono per noi che viviamo nei grandi continenti. A subire l’impatto più pesante sono i poveri e come abbiamo sentito in questi giorni, gli abitanti delle isole del Pacifico che rischiano di vedere scomparire le proprie terre. È più che mai urgente agire. Come ha auspicato il papa quando ci ha ricevuti in udienza (il 6 luglio, ndr), spero che il Cop 24 sul clima del prossimo dicembre a Katowice (Polonia, ndr), sia una pietra miliare in questo cammino delineato a Parigi».

Francesco ha rivolto un appello ai governi e alle istituzioni finanziarie.
«Senza la volontà politica dei governi le linee guida e le migliori intenzioni non possono tradursi in azioni concrete. Questo è il primo ostacolo. Poi si aggiungono gli aspetti economico-finanziari che spesso condizionano l’operato degli esecutivi. Ecco perché il papa ha chiesto al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale di favorire riforme efficaci per uno sviluppo più inclusivo e sostenibile».

Occorre dunque una rivoluzione culturale.

«Tutti i processi di cambiamento fanno paura, ma una transizione energetica dai combustibili fossili alle energie alternative è indifferibile. Lo scorso mese di giugno, con il cancelliere della Pontificia accademia delle scienze, mons. Sanchez Sorondo, abbiamo convocato i responsabili delle grandi compagnie petrolifere (ExxonMobil, Eni, British Petroleum, Royal Dutch Shell, Equinor e Pemex, ndr) in Vaticano, alla Casina Pio IV, per parlare proprio di questo. Tutti concordi sul fatto che gli effetti della transizione sarebbero positivi. Il problema è che se si dovesse interrompere all’improvviso l’utilizzo del petrolio crollerebbe un mercato importante e scoppierebbe il caos. Si tratta di una transizione complessa da governare con intelligenza. Per non arrecare danni a nessuno ed essere ispirata dalla cura per le persone e il loro benessere, con attenzione particolare ai poveri, prime vittime del climate change, richiede un management lungimirante».

A proposito di inquinamento ambientale, nel vostro Dicastero avete deciso di mettere al bando la plastica.
«Una sorta di piccola good practice per dare un segnale di cambiamento. Sappiamo che in Danimarca sono all’avanguardia nella lavorazione e trasformazione della plastica; a Taiwan un’azienda la converte in fibre tessili, tuttavia sempre plastica rimane. Noi abbiamo fatto questa scelta: ogni officiale ha a sua disposizione un paio di bottiglie di vetro da riempire e riutilizzare al bisogno e nei meeting utilizziamo bicchieri di carta. Probabilmente prepareremo a breve un piccolo suggerimento per gli altri dicasteri della Santa Sede, delle indicazioni di buone pratiche che in piena libertà, se vorranno, potranno seguire».

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