La Chiesa dovrà pagare l'Ici non versata? Tanto clamore ma poca chiarezza

“La Corte di giustizia Ue: l’Italia recuperi l’Ici non versata dalla Chiesa” è il titolo con cui molte testate giornalistiche hanno dato notizia della sentenza che, il 6 novembre scorso, ha posto un ulteriore tassello nell’intricata vicenda che da anni coinvolge l’esenzione dalle imposte municipali concessa dal nostro Paese ad alcuni immobili destinati ad attività socialmente meritevoli. 

La Chiesa dovrà pagare l'Ici non versata? Tanto clamore ma poca chiarezza

Come spesso accade per i titoli giornalistici, anche in questo caso le esigenze di sintesi ed il desiderio di catturare l’attenzione del lettore hanno prevalso sulla correttezza dell’informazione. Proviamo, dunque, a fare un poco di chiarezza, ricostruendo anzitutto i tratti salienti della vicenda oggetto della decisione.

LA VICENDA. Il decreto n. 504 del 1992, che ha introdotto nel nostro ordinamento l’Ici, prevedeva che fossero esentati dall’imposta gli immobili degli «enti non commerciali» (associazioni, fondazioni, comitati, partiti politici, enti ecclesiastici, etc.) destinati esclusivamente allo svolgimento di attività socialmente meritevoli (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e religiose); nessun riferimento vi era, nel testo originale del decreto, alle modalità con cui venivano svolte tali attività e perciò si dubitava se l’esenzione spettasse solo quando esse fossero «non commerciali», cioè gratuite o parzialmente gratuite, o anche quando fossero «commerciali», cioè quando si richiedesse a studenti, malati, ospiti, etc. il pagamento di un corrispettivo utile, almeno, a coprire costi. Negli anni successivi la Corte di Cassazione si pronuncia in favore della prima ipotesi, mentre il Governo modifica più volte la norma contribuendo ad accrescere l’incertezza. Quando nel 2012 l’Imu sostituisce l’Ici il nodo si scioglie: l’esenzione viene esplicitamente limitata ai soli immobili, o porzioni di immobili, nei quali le attività meritevoli sono svolte «con modalità non commerciali» e vengono individuati criteri puntuali di accertamento di tale requisito. A distanza di pochi mesi dall’introduzione dell’Imu, la Commissione europea, chiamata nel frattempo a pronunciarsi sul rispetto delle regole della concorrenza, dichiara la vecchia esenzione dall’Ici in contrasto con esse mentre giudica positivamente la nuova Imu. La Commissione afferma il seguente principio: quando, per l’indeterminatezza della norma, l’esenzione dall’Ici è stata concessa anche ad immobili nei quali si svolgeva un’attività dietro pagamento di un corrispettivo, gli enti che ne hanno beneficiato hanno ricevuto un aiuto dallo Stato, che li ha ingiustamente avvantaggiati rispetto agli altri operatori del mercato. Un esempio può aiutare a comprendere meglio: si pensi a due teatri della medesima città che organizzavano entrambi spettacoli a pagamento e che erano gestiti, l’uno, da una parrocchia o da una fondazione culturale, e l’altro da una società; ebbene, secondo la Commissione, il primo traeva dall’esenzione dall’Ici un aiuto economico che al secondo era precluso, con una distorsione della libera concorrenza. Questo stesso problema non si poneva, invece, per quegli enti che svolgevano la propria attività gratuitamente o chiedendo solo un contributo parziale alle spese (ad es. un’offerta libera) perché operavano fuori mercato, come non si pone oggi per l’Imu che concede l’esenzione solo quando l’attività sia svolta con modalità non commerciali. Nonostante questo giudizio negativo sull’Ici, la Commissione decide che l’Italia non dovrà recuperare nulla dagli enti che hanno beneficiato dell’esenzione, poiché i dati fiscali e catastali non consentono di ricostruire a posteriori come venissero svolte le attività all’interno degli immobili: non è più possibile, cioè, distinguere quelli giustamente esentati, perché ospitavano attività gratuite o semigratuite, da quelli utilizzati per attività commerciali che hanno avuto un aiuto fiscale dallo Stato che si dovrebbe recuperare. Proprio su quest’ultimo aspetto è ora intervenuta la sentenza della Corte del 6 novembre, affermando che nel 2012 la Commissione ha commesso un errore non ordinando all’Italia di procedere al recupero, totale o parziale e con ogni possibile mezzo, dell’Ici non versata.

ALCUNE PRECISAZIONI. Rispetto a questa vicenda è opportuno precisare, anzitutto, che essa riguarda solo il recupero di somme relative al passato: la bontà del sistema su cui, dal 2012 in poi, si regge l’esenzione dall’Imu non è in discussione ed è stata confermata dalla stessa Corte di giustizia Ue. In secondo luogo, se e quando si procederà a tale recupero d’imposta, esso non coinvolgerà solo gli enti della Chiesa cattolica bensì tutti gli enti non commerciali (associazioni, fondazioni, comitati, partiti politici, enti di altre confessioni religiose, etc.), per i quali era dettata la norma Ici giudicata in contrasto con il diritto dell’Unione. Da tutti questi enti, infine, si esigerà il pagamento dell’Ici non versata solo nella misura in cui, nel periodo di vigenza dell’imposta, abbiano svolto in un loro immobile un’attività socialmente meritevole con modalità commerciali. Per fare alcuni esempi, l’ordine di recupero potrà riguardare l’Ici non versata per: l’immobile di una scuola che richiedeva il pagamento di rette che non fossero solo un parziale contributo alle proprie spese; un teatro nel quale si svolgevano spettacoli per i quali era previsto il pagamento di un biglietto; una struttura ricettiva che applicava prezzi di mercato; una clinica non accreditata nella quale si effettuavano cure a pagamento; e così via. Viceversa, nulla si potrà esigere con riferimento ad immobili, o porzioni di essi, che erano destinati ad attività come la catechesi o altre attività pastorali per definizione gratuite, l’accoglienza di persone indigenti o di pellegrini a cui si richiedeva una libera offerta, incontri culturali, momenti ricreativi o attività sportive gratuitamente fruibili, etc. Per quanto riguarda gli enti della Chiesa cattolica, inoltre, è bene precisare che rimarranno certamente estranei dalla vicenda relativa al recupero dell’Ici gli edifici di culto e le loro pertinenze (canoniche, episcopi, etc.), per le quali si prevedeva, e si prevede, un’apposita esenzione che non è mai stata oggetto di contestazione in sede europea.

COSA ACCADRÀ ORA? Ora la Commissione dovrà dar seguito alla sentenza, avviando un procedimento per accertare, in collaborazione con lo Stato italiano, se esistano «modalità alternative» per recuperare, anche solo parzialmente, l’Ici non riscossa ed eventualmente dovrà ordinarne il recupero. Toccherà poi all’Italia attuare le relative procedure presso gli enti, nel rispetto del diritto nazionale. In queste fasi due aspetti, più di altri, potranno risultare importanti. Anzitutto quello relativo alla prescrizione: secondo il diritto europeo la Commissione ha dieci anni di tempo dalla concessione di un aiuto per ordinarne il recupero e, dunque, solo le somme relative agli ultimi anni di vigenza dell’Ici sarebbero ancora recuperabili; tuttavia, le decisioni della Commissione e i giudizi della Corte nel frattempo intervenuti potrebbero aver sospeso la decorrenza di tale termine decennale, rendendo recuperabile anche l’imposta non pagata in anni più risalenti. Particolarmente delicata sarà, inoltre, la definizione dei criteri con cui valutare se un’attività fosse svolta con modalità commerciali o non commerciali quando era in vigore l’Ici. È possibile che si utilizzeranno quei medesimi criteri con cui oggi si valuta la commercialità delle attività socialmente meritevoli ai fini dell’esenzione dall’Imu e che sono stati giudicati conformi al diritto europeo; se così fosse, gli effetti economici negativi della sentenza verrebbero in parte ridimensionati perché si produrrebbero solo su quegli enti i cui immobili erano esenti dall’Ici ma hanno cessato di esserlo con l’introduzione dell’Imu. Per guardare, ad esempio, al settore dell’istruzione - che è stato il casus belli che ha portato alla sentenza del 6 novembre - l’attività della gran parte delle scuole paritarie cattoliche è oggi considerata non commerciale ai fini Imu, poiché richiedono rette inferiori al costo medio di uno studente nelle corrispondenti scuole statali: utilizzando questo stesso criterio per valutare le modalità con cui veniva svolta l’attività scolastica nel periodo di vigenza dell’Ici, anch’essa dovrebbe risultare non commerciale, l’esenzione a suo tempo goduta dovrebbe giudicarsi legittima e lo Stato non avrebbe nulla da recuperare da tali scuole.

Alessandro Perego*

* Dottore di ricerca e avvocato, attualmente assegnista presso l’Università degli Studi di Padova. È autore di contributi in volumi ed articoli scientifici, in particolare sui temi degli enti ecclesiastici, del diritto patrimoniale canonico e del Terzo Settore. Dal 2017 è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione “G. Bortignon” per l’educazione e la scuola. La sua ultima pubblicazione L’ente gestore della scuola cattolica. Temi di attualità giuridica, CEDAM, Padova 2018 è di grande importanza per la comprensione delle varie questioni gestionali attinenti le scuole cattoliche di ogni ordine e grado.

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Fonte: Sir