La conversione miracolosa di Salvini

Mentre si sta per costituire il Governo Draghi, il leader della Lega fa passi indietro da gigante dopo anni spesi a deprecare l’Europa e l’euro. Sarà vero?

* Foto tratta da un fotomontaggio di Twitter *

La conversione miracolosa di Salvini

Alla vigilia della costituzione del Governo Draghi siamo stati tutti testimoni di una conversione miracolosa. Matteo Salvini, profeta dell’anti-europeismo, araldo dell’uscita dalla moneta unica, cresciuto in questi anni nei sondaggi proprio cavalcando la diffidenza verso Bruxelles, ha di fatto svoltato.

Borghi e Bagnai sono finiti in soffitta, e con loro i minibot da stampare in casa per sostituire l’Euro, moneta di fatto salvata dall’ormai iconico “Whatever it takes” di Mario Draghi. Un bagno di realtà che rilancia le quotazioni di figure pragmatiche come Giorgetti e Zaia, rappresentanti di quel Nord produttivo che vede nell’Europa il suo saldo ancoraggio, il suo mercato principale, la sua aspirazione.

Il web saluta la conversione di Salvini con la solita stancante ironia, con migliaia di meme e sberleffi su Twitter aggregati dall’hashtag #salvinieuropeista. Certo, si può puntare il dito contro l’incoerenza di certa politica, ma in certi casi l’incoerenza è virtù.

Per decenni l’europeismo è stato trasversale tra tutte le forze politiche. Pur in una marea di vedute diverse, l’eredità della Seconda Guerra Mondiale, lo sviluppo del mercato comune e il vedersi piccoli di fronte ai giganti della guerra fredda hanno spinto tutti a ritenere la prospettiva di una sempre maggior integrazione tra le nazioni europee come unica possibilità per garantire pace, prosperità e sovranità – sì, sovranità – ai cittadini d’Europa. Con la crisi finanziaria, però, l’Europa è diventata – anche per le sue défaillance – il capro espiatorio ideale di una nuova politica anti-establishment senza memoria. Il rischio di disgregazione, di nuovi confini, di dazi, di conflitti non è affatto ipotetico: la Brexit – che in Gran Bretagna già nel suo primo mese fa strage di imprese e di posti di lavoro – sta lì a dimostrarlo. E l’altro grande rischio è che l’europeismo, prima prospettiva di tutti, unificatrice e unificante, diventi un’ideologia (un “ismo”) tra le tante, arrabbiata e contrapposta.

Che anche la Lega si trovi ad abbracciare – seppur con pragmatismo – la cooperazione in Europa e la sua indissolubilità, è indubbiamente una delle novità politiche più interessanti degli ultimi anni. Questo passo in avanti – a meno di ripensamenti – garantirà al dibattito pubblico non la contrapposizione tra Europa sì ed Europa no, ma tra diverse idee di Europa, dal cui confronto potrà nascere un’Europa migliore.

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