Le immagini del male: le foto del reporter polacco "ucciso da un veleno, il dolore degli altri"
Sempre più frequenti cercano di scalfire la crosta dell’indifferenza. Fino al 9 aprile a Torino (Spazio eventa) si terrà la mostra delle fotografie del reporter polacco Krzysztof Miller “ucciso da una veleno che si chiama il dolore degli altri”.
Miller si è tolto la vita il 9 settembre 2016 dopo aver ripreso con la sua macchina fotografica un’infinità di volti e di corpi straziati dalla crudeltà dell’uomo.
Era stato negli inferni di Africa, Cecenia, Afghanistan, Iraq.
La conclusione tragica della sua esistenza ne ricorda altre, a iniziare da quella di Primo Levi, ma oggi pone soprattutto una domanda all’indifferenza e all’assuefazione che coprono come un velo la coscienza dell’uomo. Una domanda che vale anche per il nostro Paese.
Sono molti i luoghi dove il male appare vincente: tra questi, per stare all’attualità, le carceri in Libia.
In Italia arrivano meno disperati e, quindi, meno persone muoiono in mare. Che siano merce da vendere per altri trafficanti e che muoiano altrove non è – dicono alcuni – un problema italiano.
Il veleno del male uccide chi lo ha fotografato ma è lo stesso veleno a minare il fondamento culturale, morale e spirituale di un popolo quando gira la faccia da un’altra parte o finge di non vedere.
C’è il suicidio visibile di un fotoreporter ma c’è anche il venire meno dell’anima di un popolo: un suicidio fatto di silenzi, di assuefazioni, di conformismi.
Verrà il giorno in cui qualcuno dovrà rispondere delle dichiarazioni esultanti per il calo degli sbarchi sulle sponde italiane che non corrisponde al calo della disperazione sulle sponde africane.
Se nessuno può giudicare il gesto estremo del reporter polacco di fronte al dolore degli altri, nessuno può sfuggire alla domanda se sia umano far prevalere la linea dell’indifferenza e dello scarico di responsabilità di fronte al dolore degli altri.
Elie Wiesel, di fronte a un bimbo impiccato ad Auschwitz alla domanda dove fosse Dio in quel momento tragico, rispose che Dio era in quella piccola vittima, era quell’innocente sulla forca.
Oggi, come allora, c’è da chiedersi se l’uomo di fronte al male non abbia altra scelta che quella di chiudere gli occhi o di girare la faccia da un’altra parte.
Non può essere questa la risposta e indurre l’uomo a pensare che si possa raggiungere la felicità per primi e da soli è un tentativo destinato al fallimento.
Verrà il giorno in cui le maschere cadranno e la coscienza, risvegliatasi dal torpore, prenderà la parola per amore della verità senza la quale non esiste la felicità. Non è retorica o utopia. È la storia a preannunciarlo, anche per vie misteriose, come il suicidio di un reporter polacco, sconvolto dalle immagini del male che aveva scattato.
Paolo Bustaffa